Di seguito tutti gli interventi pubblicati sul sito, in ordine cronologico.
Non si tratta del dissenso di “Noi siamo Chiesa” o di altre fazioni contestatrici, che nascono già intaccate dal virus del dissolvimento, o dei vari Neocatecumenali che il diavolo suscita per ridurre il culto eucaristico a sceneggiate conviviali. Si tratta anzi dei loro oppositori, che cominciano ad accorgersi dei disastri indotti nella Santa Madre Chiesa dai loro più o meno noti corruttori e dallo smarrimento dottrinale che ne corrode la Fede. Si tratta dei settemila che non hanno piegato le loro ginocchia a Baal e delle bocche che non l’hanno baciato (v. 1 Re 19, 18). Pochi, di fronte alla marea sterminata di quelli che vivono nell’incoscienza o stanno al compromesso, e oggi sono considerati retriva mascella d’asino.
Quella mascella che nelle mani di Sansone ha provocato uno sterminio di filistei (Gdc 15, 15s), nelle mani di Cristo Signore potrà buttare all’aria la forza infernale che imprigiona il mondo e la Chiesa. Non è sempre vero che Dio si serve delle cose che non sono per annientare quelle che sono (1 Cor 1, 28)? Per le sue vittorie Dio ha sempre fatto leva sul piccolo resto, sui pochi soldati di Gedeone per mettere in fuga l’esercito dei più accaniti nemici. Chi sostiene le sconfinate galassie non ha bisogno di supporti terreni per le sue vittorie.
La radice robusta del piccolo resto è Cristo stesso, Radix David (Ap 5, 5), che non vuol più sopportare i disordini della Chiesa di oggi.
Cristo rigetta questo modernismo, che ormai rivela in piena luce la sua velenosa indole massonica e diffonde puzza di Satana.
Gesù respinge questo ecumenismo che insozza la Chiesa redenta e alimentata dal suo Sangue abbassandola al livello delle religioni che adorano il suo stesso nemico.
Gesù non può più sopportare che i vertici della sua Chiesa siano dominati da cardinali e vescovi traditori, che per la sete di potere si sono consegnati alla massoneria, gettando l’antico serpente (Ap 12, 9) al collo del Vicario di Cristo in terra.
Non può più vedere il popolo di Dio, il suo Corpo Mistico, consegnato nelle mani del nemico, il suo gregge condotto dai cattivi pastori tra vipere e rovi, mentre coloro che aveva scelto come prediletti, i suoi consacrati, continuano a prestarsi al compromesso progressista.
La Radice robusta di Davide si fa strada tra i sassi: rocce enormi, durissime, ma non indistruttibili. Il Forte non si è addormentato, e attende il momento di uscire come Sposo dal suo talamo (v. Sal 18, 6), sollevando alta la testa (Sal 109, 7), finché tutti i suoi nemici siano posti a sgabello dei suoi piedi (Sal 109, 1; Mt 22, 44, ecc.).
Nel frattempo il piccolo resto si fa cosciente, si rafforza nell’umiliazione, nella preghiera e nel Sacrificio Eucaristico, tempra le armi nel Vangelo, riacquista sicurezza nella solida dottrina tomistica, che non ha alternative e penetra la Parola di Dio con fedeltà. Il piccolo resto si fa contagioso, si allarga senza far rumore, si stringe attorno alla Roccia, consapevole che chi va contro di essa si sfracellerà (Mt 21, 44).
Ma io che devo fare? Qual è la mia vocazione personale in quest’ora di totale smarrimento?
Nella storia della Chiesa la confusione non è mai mancata. Gesù stesso disse: “E’ inevitabile che avvengano scandali” (Mt 18, 7), e gli Apostoli mettevano in guardia i primi credenti dai falsi profeti. Anche al tempo di San Tommaso d’Aquino c’erano pensatori che pensavano male e scrivevano peggio. Tommaso però si impose nella Chiesa per una dottrina, confermata dalla santità, che aveva il pregio di una profondità e precisione insuperata, tanto che lo stesso Vaticano II, sette secoli dopo, rimanda alla sua dottrina per discernere con sicurezza il buon grano dal loglio.
Nostro compito è portare chiarezza. Chiarezza di dottrina, innanzi tutto. Possiamo compatire coloro che sbagliano, ma la nostra vocazione non è di portar fumo dove c’è fumo. E ce n’è tanto, troppo nella Chiesa.
La nostra fiducia è la profondità: è scavare più a fondo, rimettere in luce ciò che è calato nella tenebra. La verità è una, ma non è conosciuta, non è accettata. Però la Verità è paziente, e viene a galla ad onta di tutto.
La profondità è nel Vangelo, letto alla luce dello Spirito Santo e del Magistero della Chiesa, quello di sempre, non di certe spensieratezze ecumeniche. Scavando in questo solco, siamo sicuri che non perdiamo tempo e diamo agli altri quello di cui hanno maggior bisogno. A volte basta un santo, un pensatore sano e profondo per stroncare indirizzi aberranti.
La nostra miniera d’oro non sono i sapienti del mondo, così confusi e smarriti. Non sono le idee peregrine dei media, non è il fascino falso della mondanità: il mondo è tutto sotto il maligno (1 Gv 5, 19), che è menzognero e omicida. Le speranze politiche sono annientate dai fatti. Altre certezze sono sabbie mobili.
Noi abbiamo la guida nella Parola di Dio: “Se siete costanti nella mia Parola - ci assicura Gesù -, conoscerete la Verità, e la Verità vi farà liberi” (Gv 8, 31s). “Le mie parole sono Spirito e Vita” (Gv 6, 64). Se vogliamo una conferma della verità, l’abbiamo nell’essere perseguitati.
Non perdiamo tempo. La Parola di Dio rimane in eterno, e in essa abbiamo la sicurezza di non lavorare invano.
Vogliamo portare luce in questa selva oscura? Non portiamo fumo dove ce n’è già troppo. Portiamo il Vangelo scavato più a fondo.
La prima Carità, la più indispensabile, è la Verità. Senza la Verità, la stessa Carità va in dissoluzione.
L’attuale momento ecclesiale è infestato da una parola che diventa sempre più ossessiva: la parola Dialogo. Entra in tutte le salse postconciliari veicolata da prediche, riviste, proclami, rinnovamenti istituzionali come ultima scoperta dei rapporti con chiese, religioni, istituzioni. Ma corrisponde davvero al pensiero di Gesù nei confronti di coloro che non sono ancora entrati nel Regno di Dio? Oppure nasconde un senso di confusione, di appiattimento del messaggio evangelico, di smarrimento nel clima di inammissibile ecumenismo che ritiene vie di salvezza tutte le religioni come agli incontri di Assisi?
Che ne pensa Gesù nel Vangelo?
“Predicate il Vangelo”
L’Evangelista Marco conclude il Vangelo con la missione trasmessa da Gesù agli Apostoli con questo comando: “Andate per tutto il mondo e predicate il Vangelo ad ogni creatura. Chi crede e si fa battezzare sarà salvo, chi non crede sarà condannato” (Mc 16, 15s).
Il comando di Gesù è tradotto in greco con il verbo keruzate, che deriva dal termine kerux, il banditore inviato dal re ad annunciare il suo arrivo o i suoi decreti. Quindi keruzate assomma il senso di convocate, bandite, proclamate, annunziate ad alta voce in modo che tutti sentano. Il Vangelo è kerigma, Annunzio: Lieto Annunzio.
Lo ribadisce Gesù stesso in un altro passo notevole: “Ciò che Io vi dico nelle tenebre, voi ditelo in piena luce, e ciò che vi si dice all’orecchio, predicatelo sopra i tetti” (Mt 10, 27; v. anche Lc 12, 2).
Il dialogo non si addice alla Parola di Dio: ne sminuirebbe l’origine divina, l’assolutezza, l’incontrastabilità. Dio non si mette sullo stesso piano dell’uomo a discutere sulla verità: la Verità è Lui stesso (v. Gv 14, 6), e l’uomo decaduto non è capace di sicurezza nella verità. Esiste un pronunciamento del Magistero caduto in dimenticanza che dice: “Si deve attribuire alla Rivelazione che nelle cose divine ciò che per sé non è impervio alla ragione umana, nell’attuale condizione del genere umano possa essere conosciuto con facilità, ferma sicurezza e senza mescolanza di errori” (Vaticano I, Dz 1786). In parole semplici, la Rivelazione divina è indispensabile per conoscere la Verità.
L’uomo non può competere con Dio mediante un dialogo chiarificatore. Può soltanto inginocchiarsi in ascolto di ciò che lo Spirito dice alle Chiese (Ap 2, 7).
La proclamazione del Vangelo ha un’efficacia garantita dalla grazia di Dio che dispone ad accoglierla, e Gesù manifesta la sua gioia nel vederla accolta dagli umili: “Gesù esultò con allegrezza per virtù dello Spirito Santo e disse: ‘Io Ti lodo e Ti ringrazio, o Padre, Signore del Cielo e della terra, che hai tenuto nascoste queste cose ai saggi e agli scaltri, e le hai rivelate ai semplici. Sì, o Padre, perché così è piaciuto a Te. Ogni cosa è stata data a Me dal Padre mio, e nessuno conosce il Padre e il Figlio se non il Padre, né chi è il Padre se non il Figlio e colui al quale il Figlio voglia rivelarlo’” (Lc 10, 21s). Parole misteriose che confermano la forza del Vangelo, la sua origine celeste, la necessità della grazia per accoglierlo.
Non dialogo, ma annunzio
Il dialogo può avere un valore interlocutorio, di chiarimento e di reciproca conoscenza, quindi non è da escludersi per principio. Può disporre all’accoglienza del Vangelo. E’ preevangelizzazione.
Il dialogo è comunicazione, ma non comporta per sé un cambiamento degli interlocutori. Si conosce il pensiero altrui, ma non necessariamente lo si condivide.
L’annuncio evangelico invece esprime un intervento di Dio che esige di essere accettato e mira al cambiamento di mente, o metànoia: metanoeite, cambiate mente, cambiate costumi, convertitevi. E’ la prima esortazione del Battista (Mt 3, 2) e di Gesù stesso (Mt 4, 17).
Ad Atene l’Apostolo Paolo imposta il suo discorso a dialogo, diremmo culturale, e ricorda come gli ateniesi hanno un altare al Dio Ignoto, che potrebbe bene adattarsi al Dio del Vangelo, ma la reazione è deludente: “Udendo parlare di risurrezione dei morti, alcuni si misero a beffarlo, e altri dissero: ‘Su questo ti udremo un’altra volta’”. Paolo si ritirò, ma alcuni si unirono a lui e credettero, come Dionigi l’Areopagita, Damaride e qualche altro (At 17, 15s).
Paolo comprese chiaramente come le conversioni non erano frutto di sublimità di eloquio, ma della grazia di Dio, che salva i credenti mediante “la stoltezza della predicazione”: “Noi predichiamo Cristo Crocifisso, che è uno scandalo per i giudei, una stoltezza per i pagani, ma per quelli che da Dio sono chiamati…è potenza di Dio e sapienza di Dio” (si rilegga il magnifico brano di 1 Cor 1, 18s).
Gesù stesso, che è venuto come segno di contraddizione (Lc 2, 24s), spartiacque tra il bene e il male, si imbatte continuamente tra chi lo accetta e chi lo rifiuta. Il Vangelo di Giovanni è particolarmente sensibile a questo aspetto, che ha momenti acuti nella proposta del Pane di Vita a Cafarnao e soprattutto nella Passione. Ricordiamo: “Gli uni dicevano ‘E’ uomo dabbene’; gli altri replicavano: ‘No, anzi travia la gente’” ( Gv 7, 12s; v. anche Gv 2, 23s; 4, 39s; 5, 16s; 6, 26s, 59s; ecc.).
Di fronte a queste eventualità, Gesù non deflette, ma ribadisce le sue parole. Non vuole compromessi, rifiuta gli equivoci: “Il vostro dire sia sì sì, no no: il di più è dal maligno”(Mt 5, 37). A Cafarnao, osservando i molti discepoli che Gli voltano le spalle, provoca gli stessi Apostoli: “Volete andarvene anche voi?” (Gv 6, 67 ).
Il Vangelo storicizzato
Il dialogo nasconde un altro enorme guaio del clima attuale: storicizza il Vangelo, lo relativizza, lo considera come probabilità, affida le espressioni evangeliche al libero esame.
Si dilata un’aperta dissidenza proprio all’interno della Chiesa, e lo si vede nel decadimento teologico dei nostri giorni, che tutto rimette in discussione, come se il Signore non avesse assicurato: “Cielo e terra passeranno, ma le mie parole non passeranno” (Mt 24, 35).
Molti esegeti, roditori della scorza evangelica, si sono affannati a disconnettere i Vangeli nella loro scorza storica, senza capire che la scorza dei Vangeli, ossia ciò che l’esegesi si sforza di analizzare sul piano storico, ha una garanzia nel suo midollo, che è il contenuto evidentemente soprannaturale. Il postconcilio vive un clima plagiano: ha dimenticato il trattato De Gratia!
Nel Vangelo Gesù ha consegnato alla sua Chiesa la sua Parola di Vita (“Le mie parole sono Spirito e Vita:Gv 6, 64). “Nel suo Vangelo - ripete la Vergine a Medjugorje – Gesù vi ha detto tutto!”. L’unità, la santità, la bellezza unica della Rivelazione consegnata da Gesù alla Chiesa è garanzia della sua origine dall’Alto. Non esiste nulla di simile sull’orizzonte umano.
Quindi le espressioni evangeliche vanno prese alla lettera. Nel linguaggio essenziale, accessibile anche ai più sprovveduti e al tempo stesso sfida agli intelletti più elevati, dobbiamo cogliere il disegno unitario di Dio per la nostra Redenzione.
Il detto tradizionale “E’ Vangelo” faceva intendere la sua infallibilità di fronte alle false affermazioni del mondo, ma oggi è ancora così? Eppure esiste sotto il cielo altro nome dato agli uomini per il quale possiamo essere salvi? (At 4, 12).
Il Vangelo non è un’accozzaglia di detti alla maniera del Talmud o del Corano: è un diamante indivisibile di verità divina.
“Scuotete la polvere dai piedi…”
La proclamazione del Vangelo è esposta al rischio del rifiuto, come avvenne a Cafarnao e in altri episodi della predicazione di Gesù. Ma il Divino Maestro ne ha spiegato la ragione: “E’ lo Spirito che vivifica, la carne non giova a nulla… Nessuno può venire a Me se non gli è dato dal Padre” (Gv 6, 63s), e anche “Nessuno va al Padre se non per Me. Le mie parole sono Spirito e Vita” (Lc 10, 21s).
La Parola di Gesù è legata a una sanzione terribile: “Chi non crederà sarà condannato”. Non è un richiamo che si possa trascurare impunemente: ha tutto il peso di Parola di Dio ineludibile. Una Chiesa che dubita sullo scrigno di verità salvifica che le è stata consegnata dall’alto della Croce, e che con un ecumenismo deviato viene a patti con gli errori enormi professati da religioni pagane e da chiese dissidenti, perde ogni potere conversivo e diventa sinagoga di Satana.
Gesù stesso ci offre un insegnamento sul modo di comportarci di fronte a chi non crede. Egli disse agli Apostoli: “Se qualcuno non ascolta le vostre parole, nell’uscire da quella casa o da quella città scuotete la polvere dai vostri piedi. In verità vi dico che nel giorno del giudizio Sodoma e Gomorra avranno sorte più tollerabile che quella città” (Mt 10, 14s; v. anche Mc 6, 1s; Lc 9, 5; 10, 11; At 13, 51).
Questa terribile minaccia ci fa intendere come l’annunzio del Vangelo è dotato di una grazia che è sacrilego respingere.
Quindi non perdiamo tempo a dialogare, alla maniera dei Testimoni di Geova: se non ci ascoltano, facciamo come gli Apostoli che si rivolgevano ad altri. Nella parabola del banchetto regale Gesù insegna che se i grandi non rispondono all’invito, dobbiamo rivolgerci ai poveri e sprovveduti che attendono lungo le siepi dello smarrimento e dell’emarginazione.
Occorre quindi tornare alla purezza della predicazione evangelica.
Il movimento di Assisi è una deviazione enorme dal Vangelo: si snoda sotto il segno massonico dell’apostasia, è seduzione di Satana, anche se per un incomprensibile accecamento teologico si fregia della protezione di guide della Chiesa. L’ecumenismo di Assisi nel suo spensierato buonismo non tiene conto dell’origine e dell’indole satanica delle deviazioni religiose quale appare dai loro frutti. Mai la storia della Chiesa si è macchiata di tanto smarrimento, che assume oggi dimensioni universali.
Lo Spirito Santo nella Scrittura viene raffigurato con vari simboli: di Vento o Soffio per indicarne l’onnipresenza spirituale (Gn 1, 2; v. Gv 3, 8; 20,22 soffiato sugli Apostoli dal Risorto; At 2, 1s), di Colomba per indicarne la soavità (Mt 3, 16; v. anche 1 Re 19, 12).
Egli è lo Spirito di Verità che porta alla verità intera (Gv 16,13), è il Paraclito (Advocatus), inviato come Confortatore (Gv 14, 15, 25; 16, 7), che parlerà nei perseguitati davanti ai giudici (Mc 13, 11 e Parr.).
Lo Spirito Santo è inviato soprattutto come Fuoco: il Battista annunzia Gesù come colui che battezzerà in Spirito Santo e Fuoco (Mt 3, 11), a Pentecoste lo Spirito discende sugli Apostoli in lingue spartite come Fuoco (At 2, 3).
Nel Fuoco la letteratura cristiana ravvisa il fervore dello spirito, l’amore (Spirito di Amore), l’attitudine a fondere in unità, come recita l’Ufficio divino all’Ora Matutina: O Spirito Paraclito… il tuo fuoco ci unisca in un’anima sola.
L’immagine del Fuoco evidenzia la sua attitudine a unire, a fondere insieme.
La sua natura di Spirito Fonditore appare anzitutto in seno alla Santissima Trinità, nella quale il Padre e il Figlio sono Uno in forza dello Spirito che hanno insieme, e che li fonde come specchio reciproco: “Egli mi glorificherà, perché riceverà di ciò che è mio per annunziarlo a voi; è mio tutto quanto ha il Padre” (Gv 16, 14).
Nel Fuoco dello Spirito Santo si compie la fusione di Dio con l’Umanità tramite l’Incarnazione del Verbo: l’Angelo infatti disse a Maria: “Lo Spirito Santo verrà sopra di te, e la potenza dell’Altissimo ti coprirà, perciò anche il Santo che nascerà sarà chiamato Figlio di Dio” (Lc 1, 35); così Maria si trovò incinta per virtù dello Spirito Santo (Mt1, 18, ), ed è opera dello Spirito Santo ciò che in lei è generato (Mt 1, 20). Il grembo di Maria, Madre di Dio, è la fornace purissima in cui il Fuoco dello Spirito Santo ha fuso il Figlio di Dio nel Figlio dell’Uomo perché abitasse in mezzo a noi. Dante canta a Maria: “Nel ventre tuo si raccese l’Amore / per lo cui caldo nell’eterna pace / così è germinato questo Fiore: Gesù.
Nel Fuoco Fonditore dello Spirito Santo si compie infine la fusione del Corpo Mistico: “Che tutti siano Uno come Tu, Padre in Me e Io in Te” (Gv 17, 21); “Un solo corpo siamo noi, quantunque molti, perché partecipiamo di un unico Pane e siamo imbevuti di un unico Spirito” (1 Cor 11, 17; 12, 13), il quale distribuisce nel Corpo Mistico i suoi doni come a Lui piace (1 Cor 12, 17), e santifica gli stessi nostri corpi come Tempio dello Spirito Santo (1 Cor 6, 19).
Come Fuoco Fonditore lo Spirito Santo fa sì che chi si unisce al Signore, fa un solo Spirito con Lui (1 Cor 6, 17).
Si tratta di una fusione di grazia operata dallo Spirito mediante i Sacramenti (“Battezzerà in Spirito Santo e fuoco”; “Ricevete lo Spirito Santo: a chi rimetterete i peccati saranno rimessi”, ecc.).
Questa configurazione esistenziale che ci rende partecipi della natura divina (2 Pt 1, 4) comporta tutta una configurazione spirituale operata dallo Spirito Santo in modo che abbiamo in noi lo stesso sentire che è in Cristo Gesù (Fp 2, 5). E’ in grazia del Fuoco Fonditore dello Spirito Santo che si realizza la nostra fusione spirituale con Cristo fino a conformarci a Lui nel modo di pensare, giudicare, agire, così che come l’Apostolo possiamo dire: “Non sono più io che vive, ma è Cristo che vive in me” (Gal 2, 20).
Lo Spirito Santo supplisce alla nostra insufficienza perché noi non sappiamo che cosa chiedere come conviene, ma lo Spirito lo implora per noi con gemiti inesprimibili, e Colui che scruta i cuori sa quale sia l’anelito dello Spirito, sa che Egli prega per i santi come Dio vuole (Rm 8, 26s). E nessuno può dire Gesù Signore se non per lo Spirito Santo (1 Cor 12, 2).
L’apostolo Paolo illustra l’intera opera dello Spirito Santificatore nella dottrina della configurazione.
Il dialogo con la Samaritana si conclude con la sua richiesta di un chiarimento: “I nostri padri hanno adorato su questo monte, voi invece dite che il luogo dove bisogna adorare è Gerusalemme”.
Al dilemma Gesù risponde: “Voi adorate ciò che non conoscete, noi adoriamo ciò che conosciamo, perché la salvezza viene dai giudei. Ma si avvicina l’ora, anzi già ci siamo, che i veri adoratori adoreranno il Padre in Spirito e Verità. Poiché tali il Padre vuole i suoi adoratori. Dio è spirito, e coloro che lo adorano devono adorarlo in Spirito e Verità” (Gv 4, 19s).
L’incontro tra Gesù e la samaritana avviene presso il pozzo di Giacobbe, un pozzo di 39 metri che al patriarca dovette costare una fatica notevole. Il luogo ricorda una storia particolare: Giacobbe in quelle vicinanze ebbe la visione della scala su cui gli angeli scendevano e salivano, e al risveglio esclamò: “Quanto è venerando questo luogo! Non è che Tempio di Dio e Porta del Cielo!” (Gn 28, 17s). Giacobbe vi eresse un altare e diede al luogo il nome di Bet-El, ossia Casa di Dio, e decise: “Terrò il Signore per mio Dio”.
Alla morte di Salomone, Geroboamo, usurpatore del suo regno, eresse a Betel un tempio che fosse il centro religioso idolatrico della Samaria, finché fu distrutto dal riformatore Giosia.
La samaritana pone quindi a Gesù il dilemma di fondo della religione vera, chi adorare, e Gesù le risponde con chiarezza, richiamando l’intera Rivelazione e la via giusta della salvezza, che viene dai giudei. Con un ritocco di grande importanza sul modo di adorare, non più legato a un luogo ma a un atteggiamento interiore, Gesù le insegna: “I veri adoratori adoreranno Dio in Spirito e Verità”.
Adorazione radice del culto
L’adorazione è l’atto fondamentale del culto dovuto a Dio. E’ il riconoscimento primordiale della distanza incolmabile che esiste tra Dio e gli esseri creati, angeli, uomini e tutto il resto. Dio è Colui che E’ , Colui al quale l’Essere appartiene per essenza, Cuius essentia est esse, che non può non esistere, mentre noi siamo contingenti, ossia precari: abbiamo cominciato ad essere e siamo sostenuti dall’atto creativo di Dio. Il resto non esiste se non in forza di Lui, della sua potenza creatrice.
La Scrittura ci informa del primo avvenimento angelico: agli inizi della creazione Lucifero non riconobbe la sovranità di Dio. L’Arcangelo Michele lottò contro Lucifero e gli angeli ribelli, e sconfisse Lucifero. Il suo nome significa “Chi come Dio?”.
Dio solo è il Creatore e Signore di quanto esiste, ed esige questo riconoscimento in quanto è Verità: l’adorazione è il riconoscimento radicale della sua gloria, e giustamente Dio dice: “La mia Gloria non la do ad altri” (Is 42, 8).
L’adorazione è amore.
La parola adorare viene dal latino ad os, alla bocca, e indica il gesto di portare la mano alla bocca per baciare, quindi indica amore. L’adorazione in radice è amore di Dio, e racchiude in sé tutti gli atti di amore verso Dio.
L’adorazione è contemplazione.
Noi non possiamo dare nulla a Dio che non ci venga da Lui stesso. Possiamo solo riconoscere che Lui è la fonte di ogni bene. In radice quindi l’adorazione è anche conoscenza, contemplazione. I beati del Paradiso contemplano estasiati la bellezza, la grandezza e tutte le meraviglie di Dio, e ne rimangono illuminati. Il loro canto è silenzio contemplativo, è stupore contemplativo.
Anche su questa terra l’adorazione parte dalla conoscenza di Dio, ed è tanto più profonda quanto meglio si conosce Dio. Per adorare Dio in Verità bisogna avere un concetto vero di Dio stesso, che non si è manifestato ai dissidenti sul monte Garizim ma ai giudei sul Sion, e nel Nuovo Testamento in Gesù che è Verità, grazie allo Spirito di Verità effuso da Cristo stesso. Bisogna avere la beatitudine di un cuore puro che consente di vedere Dio (Mt 5, 8).
“Mi sono trovato fatto”
L’adorazione è un dovere personale che rinnoviamo ogni mattino quando preghiamo: “Vi adoro, mio Dio e Vi amo con tutto il cuore”. Riflettendo sul nostro essere, noi ci troviamo fatti, ma non sappiamo come.
Non sappiamo come da un seme quasi invisibile penetrato nell’ovulo materno si sia sviluppato un organismo così complesso come il nostro corpo con le sue ossa, i vasi sanguigni, le nervature, il cuore pulsante, e come l’anima influisca sul corpo, in modo che possiamo governare anima e corpo su nostra iniziativa. Non sono capace di far sorgere un pelo, un dente o un’unghia. Non so come io possa vedere, udire, percepire, gustare. Non so che cosa sia la stessa materia: il suo essere profondo mi è ignoto. Sono cosciente di ciò che penso, so di avere un’anima, ma non conosco il suo essere misterioso. Posso disporre di qualcosa del mio divenire, fare le mie scelte. Ma l’essere Dio lo tiene saldamente in pugno, nel suo eterno segreto.
Sono riflessioni di ogni uomo, che portano inevitabilmente a riconoscere una Causa del nostro mistero personale contro la quale possiamo accanirci come calabroni di fronte alla lampada fino a bruciarci gli occhi: è il peccare contro la Luce che apre la strada a tutti gli altri peccati (V. Rm 1, 18s).
Giustamente il Salmista pone a fondamento dell’adorazione queste parole:
“Signore, Tu mi scandagli e conosci… Dove potrei sottrarmi al tuo spirito, dove sfuggire alla tua presenza?…Tu hai composto le mie viscere, mi hai formato nel grembo di mia madre. I tuoi occhi vedevano le mie vicende, che nel tuo libro erano tutte scritte coi giorni in cui dovevano prodursi, quando non ne esisteva neppure uno… Scandagliami, o mio Dio, e riconosci il mio cuore…E guidami per la via dell’eternità” (Sal 138, 1s).
Adorare è riconoscere la mia totale dipendenza da Dio e sottomettermi al suo disegno di amore.
Gesù primo Adoratore
Il primo e grande adoratore è Cristo Signore. Come Figlio del Padre e suo Verbo eterno non può essere in disaccordo col Padre, avendo lo stesso Spirito del Padre. E “nessuno conosce il Padre se non il Figlio e colui al quale il Figlio voglia rivelarlo” (Lc 10, 22).
L’adorazione è il motivo dell’Incarnazione del Verbo. Assumendo la natura umana il Figlio di Dio dice: “Mi hai foggiato un corpo: eccomi, o Dio, a fare il tuo volere, come è scritto per Me” (Eb 10, 5s). Conoscendo la perfezione del Padre, il Figlio decide di adorarlo non solo come Dio, ma anche come uomo, riepilogando in Sé l’intera creazione. E lo fa in modo così profondo da assumere sulle proprie spalle i peccati dell’intero creato, Angeli compresi, e le pene ad essi dovute:
“Si addossò i nostri malanni, si caricò dei nostri dolori… Fu trafitto per i nostri misfatti, calpestato per le nostre colpe. La punizione per noi salvifica fu inflitta a Lui, e le sue piaghe ci hanno guariti… Ma piacque al Signore che il calpestato e trafitto dando la sua vita in espiazione godesse di una discendenza duratura... (Is 53, 4s).
Non c’è adorazione profonda come quella di Cristo in croce: “Pur sussistendo nella natura di Dio…, umiliò se stesso facendosi obbediente fino alla morte, e alla morte in croce” (Fp 1, 5s). E in questa adorazione ripara i peccati di tutto il mondo, angelico e umano.
Non è un’adorazione soltanto contemplativa, ma fatta di sottomissione fino al sangue, di obbedienza che ripara tutte le disobbedienze delle creature. “Benché fosse Figlio, dai patimenti sofferti conobbe a prova la sottomissione, e reso perfetto divenne causa di salvezza eterna per tutti i sottomessi a Lui” (Eb 5, 8).
L’adorazione nostra ha il suo necessario compimento nelle opere, nell’esecuzione perfetta della volontà di Dio. Non può sussistere col peccato, sia pure piccolo.
A volte l’adorazione si fa indignazione, come nello scontro di Michele con Satana: “Chi come Dio?”. Oppure come quando Gesù impugna la frusta contro i venditori del tempio e rovescia i banchi dei cambiavalute. Non ci meraviglia quindi la severità di Padre Pio con certi peccatori, o la riprensione di Fra Cecilio al suo padre provinciale che non faceva il proprio dovere. I santi non sono morbidi, ma vigorosi difensori dei diritti di Dio contro ogni mancanza di rispetto.
Maria prima Adoratrice
Eletta da Dio a Madre Immacolata del Verbo, Maria supera ogni altra creatura per la sua singolare dignità.
Lo ha adorato con la sua umiltà all’annuncio dell’Angelo: “Ecco la serva del Signore: si faccia di me secondo la sua Parola”.
Lo ha adorato accogliendolo alla nascita a Betlemme come suo Figlio.
Lo ha adorato nella intimità materna di Nazaret.
Lo ha adorato soprattutto ai piedi della croce come Corredentrice pienamente partecipe all’offerta sacrificale del suo Figlio.
Lo ha adorato tra gli Apostoli e la prima comunità cristiana come Madre della Chiesa nella preghiera pentecostale.
Lo adora in Cielo come Regina degli Adoratori celesti, Angeli e Santi, e di tutti coloro che sulla terra adorano Dio in Spirito e verità.
Il rifiuto di adorare
Il libro di Isaia si apre con questo lamento: “Udite, o cieli, ascolta, o terra, che parla il Signore! Ho fatto grandi dei figli, li ho innalzati, ed essi mi sono ribelli! Il bue conosce il suo padrone, e l’asino la greppia del suo possessore, ma Israele non ha conoscenza, il mio popolo non mi intende!” (Is 1, 1s).
Gli fa eco Geremia che esclama:
“Stupite, o cieli, di questa cosa, e inorriditene al sommo: due mali ha commesso il mio popolo:hanno abbandonato Me, fonte di acqua viva,per scavarsi delle cisterne screpolate che non tengono l’acqua” (Ger 2, 12s).
Non possono essere adoratori coloro che non riconoscono Dio e vivono nel peccato: l’Apostolo li rimprovera perché, pur conoscendo Dio per l’impronta indistruttibile impressa da Dio creando l’uomo a sua immagine e somiglianza, e il cosmo che lo sostiene, non lo onorarono come Dio, né gli resero grazie, ma vaneggiarono nei loro pensieri, e la loro mente ottusa ne rimase ottenebrata (Rm 1, 18s).
Il primo frutto dell’ateismo è la deformazione della mente, che diventa ostile alla Verità. Dio ha impresso nell’uomo una legge inesorabile: che ognuno sia premio o castigo a se stesso secondo il suo modo di agire. Che cosa ottiene chi si nasconde alla verità, se non che la Verità si nasconde a lui? Il primo castigo del peccato è il peccato stesso, perché deforma nell’uomo l’immagine di Dio, la sua dignità. La deformazione più profonda dell’uomo è l’ateismo, perché inquina le radici dell’essere umano, la sua dipendenza da Dio. Il resto viene da sé, per terribile automatismo. Ciò appare oggi in dimensioni così vistose, da provocare un senso di terrore.
L’ateismo e’ peccato contro il Creatore.
Vediamo l’accanimento degli atei nel negare l’intervento creativo di Dio nel cosmo.
Tutto porta a intravvedere nell’interdipendenza degli esseri naturali l’intuito unitario della mente divina nel creare il mondo.
L’evoluzione è un fatto globale molto più esteso di quanto pensino i materialisti, e ha inizio dal Fiat che ha dato origine, come ci insegnano gli scienziati, agli ammassi di materia fortemente concentrata dall’energia gravitazionale dalla quale esplode la luce. Il moto ondulatorio che caratterizza l’espansione della luce e le vibrazioni dell’etere, dell’aria e dell’acqua, e rende possibili le trasmissioni radiotelevisive e sonore, agisce in profondità sugli elementi materiali in modo che non è possibile comprendere con esattezza il loro influsso sui viventi. Nulla avviene a caso, anche per leggi statistiche, e tutto rivela l’intelligenza insondabile che dirige ogni cosa con precisione al miliardesimo di miliardesimi.
Il racconto del Genesi, rivolto ai semplici in parole comprensibili, enunzia una successione di tempi che corrisponde alle grandi epoche della creazione confermate dalle scienze: all’inizio la sistemazione degli elementi materiali (luce, acque, ammassi materiali); poi il regno vegetale; poi gli animali; infine l’uomo.
E’ un fatto incontestabile che le energie fondamentali accompagnano l’intero sviluppo degli elementi. Senza l’energia gravitazionale tutto si disintegrerebbe nel caos. La fotosintesi, che investe l’intero regno vegetale e indirettamente l’intero regno animale, non sarebbe possibile senza l’energia luminosa e gli elementi già approntati dalle trasformazioni atomiche precedenti (acqua, ossigeno, carbonio…).
L’evoluzione darwiniana delle specie viventi è contestata soprattutto dai biologi, che constatano l’immutabilità del DNA fin dal primo apparire. Certe affermazioni evoluzionistiche, a chi conosce le scienze, appaiono semplificazioni da analfabeti.
Per una legge di compensazione che porta inconsciamente l’uomo a cercarsi dei surrogati alla verità rifiutata, al rifiuto dell’adorazione di Dio subentra l’adorazione degli idoli e dell’io con tutte le vergognose aberrazioni morali ricordate da Paolo (Rm 1, 22s).
L’ateismo è peccato contro la Redenzione, contro l’Amore.
Chi rifiuta Dio Creatore, maggiore difficoltà trova nell’accettare il mistero della Incarnazione del Verbo e della sua morte in croce, mistero insondabile dell’amore infinito di Dio e della sua Sapienza, che supera la nostra intelligenza quanto il cielo supera la terra (Is 55, 9; v. 1 Cor 1, 16s ). “Per Lui create, a Lui sono destinate tutte le cose, e tutto sussiste in Lui” (Col 1, 15s).
Il Vangelo non è parola di uomo. Anche se la sua origine è storicamente ben documentata, la sua indole soprannaturale è dimostrata dal suo contenuto: “Dai frutti si giudica l’albero”, ci insegna Gesù. L’Evangelista Giovanni non si trattiene in dimostrazioni, ma dice perentoriamente: “Chi è mentitore, se non chi nega che Gesù sia il Cristo? Costui è l’Anticristo, colui che nega il Padre e il Figlio” (1 Gv 2, 22).
Come Satana, che è mentitore e omicida (Gv 8, 44s), coloro che rifiutano Dio non amano neanche l’uomo, come dimostrano le immani tragedie di questo secolo provocate dall’ateismo. Massoni, comunisti, atei hanno ingannato i popoli e li hanno assoggettati alle più assurde guerre, sofferenze e torture.
La fede in Gesù non è opera d’uomo, ma dono dello Spirito Santo, dato a chi ha rettitudine del cuore. E lo Spirito dà testimonianza. Gesù dice: “Nessuno viene a Me se non è mandato dal Padre mio” (v. Gv 6, 65s): è il Padre che crea le disposizioni per credere nel Figlio, ma chi si pone contro Dio chiude gli occhi alla Luce.
L’adorazione quindi sta alla radice di tutte le virtù e i giusti comportamenti nei confronti di Dio, ed è il compendio della religione vera. Nei veri adoratori che adorano Dio in Spirito e Verità il senso dell’adorazione si radica e si sviluppa in un crescente rispetto nei confronti di Dio, dilatando la percezione dell’abisso tra Colui che E’ e tutto ciò che non è Dio. La santità di un cristiano si misura dal grado di adorazione raggiunto nella vita.
L’adorazione è umiltà. L’Apocalisse, che esalta l’umiltà di Cristo, porta anche l’immagine dei vegliardi che davanti al trono dell’Altissimo stendono a terra la propria corona (Ap 4, 10).
L’adorazione eucaristica
Soltanto dei superficiali, perdipiù succubi di suggestioni massoniche, potevano indurre la Chiesa a un culto eucaristico tanto irrispettoso da portarci al dissolvimento della fede nella Presenza Reale di Gesù nell’Eucaristia.
I santi non avrebbero fatto così.
Sant’Ignazio di Loyola, grande convertito, ordinato sacerdote non osava celebrare la Messa e la rimandò di oltre un anno. Un altro grande del nostro tempo, lo scienziato Enrico Medi, parlando ai sacerdoti diceva: “Sacerdoti, come fate a vivere dopo aver celebrato la Messa?”. Il cancelliere austriaco Dolfuss, fatto assassinare da Hitler, si ritenne indegno di seguire la vocazione sacerdotale.
La vita dei Santi è ricca di esempi di profonda riverenza di fronte all’Eucaristia. E’ nostro dovere aprire gli occhi e reagire a un costume che in radice distrugge la Fede, il culto dovuto al vero Dio, la Chiesa. Dobbiamo ricuperare quel senso di rispetto che Dio stesso ha impresso fin dalle origini alla sua Creazione, quando l’arcangelo Michele sconfisse Satana e le sue schiere. Non si tratta di emozione, ma di verità.
Nessuno è rispettoso quanto Dio stesso, che ha dato all’uomo il dono della libertà e non interviene mai a violarla, a costo di lasciare che il peccatore si ribelli contro di Lui, Lo bestemmi, Lo insulti per tutta l’eternità.
Dio chiama illuminando. Satana, al contrario, coglie l’uomo in fallo, lo tenta nel suo punto debole, lo inganna, come la seppia diffonde fumo e seduce mediante la confusione.
I segni dell’adorazione
Al grande mistico +M la Madre di Dio Maria insegna: “Al Signore si va con le braccia aperte e con la fronte chinata fino a terra, per indicare che si accetta da Lui tutto con infinito amore e che si sta in adorazione, perché Lui è Dio e noi siamo delle povere creature” (4.1.91; L 5.2.94). Sono due segni molto espressivi: fronte piegata fino a terra come sottomissione dell’intelligenza alla intelligenza divina, soggezione compensata dal dono inestimabile della Verità. braccia aperte come accoglienza della divina volontà per amore, mente e braccia, pensiero e azione in profonda riverenza verso Dio Creatore e Redentore.
Il primo segno tradizionale della riverenza verso Dio è piegare il ginocchio, come ricorda Paolo: “Ogni ginocchio deve piegarsi in Cielo, in terra e negli inferi” (Fp 2, 9s; v. anche Col 1, 12s; Ef 3, 8s).
Nella Scrittura è Dio stesso che nelle numerose teofanie bibliche illumina sul rispetto a Lui dovuto ed interviene nelle numerose teofanie bibliche a indicare i gesti a Lui graditi .
A Mosè dice: “Levati i sandali, perché la terra che calpesti è santa” (Es 3, 5). Abramo cade bocconi (Gn 17, 1). Giacobbe è preso da profonda riverenza e innalza un altare (Gn 28, 17s). Isaia trema tra i serafini che si velano il volto (Is 6, 1s). Geremia è colto da sgomento (Ger 1, 4s). Ezechiele viene corroborato: “Ti do un viso saldo…” (Ez 1, 4s). Daniele è colto da stupore (Dan 7, 13s, ecc.). Pietro e gli Apostoli cadono in ginocchio (Lc 5, 8, ecc.).…
Dio ci ha donato l’intelligenza per conoscere la verità, e la prima Verità è Lui stesso: “Io sono la Via, la Verità e la Vita” (Gv 14).
Quanto è lontano da questi segni l’attuale trattamento di Gesù presente nell’Eucaristia! I tabernacoli che sono il cuore pulsante della Chiesa sono emarginati e molti sacerdoti celebrano con l’Eucaristia alle spalle. Gli inginocchiatoi sono stati sostituiti da poltrone, la celebrazione del Sacrificio è disturbata dal segno di darsi la mano prima della Comunione, la Comunione è data a mani incoscienti, sacrileghe, traditrici, il ringraziamento della Comunione, a tempo ridotto al minimo, è fatto seduti e distratto da avvisi del celebrante, da canti o peggio. Tutto insomma porta a esaltare l’uomo come centro della celebrazione e a dissipare il senso della Presenza reale di Gesù nell’Eucaristia.
Riflessione sulle Letture del 20 ottobre 2002, festa della Dedicazione del Duomo di Milano
Prendiamo lo spunto dalla Lettera di Paolo a Timoteo: “Il fondamento gettato da Dio sta saldo e porta questo sigillo: ‘Il Signore conosce i suoi’, e ancora ‘Si allontani dall’iniquità chiunque invoca il nome del Signore’” (2 Cor 2, 19s). La Chiesa ha quindi un solido fondamento sigillato.
Il significato del sigillo oscilla tra cosa chiusa, come fu chiusa la tomba di Gesù per impedire che la sua salma fosse trafugata, quindi realtà occulta, mistero nel senso dei sigilli dell’Apocalisse; e dato che il sigillo portava il fregio di chi ne era possessore o garante, il sigillo ha anche il valore di simbolo, marchio, timbro, segno, come le ceralacche che custodivano le pergamene dei re. La Chiesa è fondata sul mistero, un mistero saldo, e il suo simbolo è la Croce: Dio riconosce i segnati dalla Croce e rigetta l’iniquità.
Scrive Giovanni nell’Apocalisse:
“Alla destra di Colui che sedeva sul trono vidi un rotolo scritto al di dentro e sul dorso sigillato da sette sigilli. Vidi ancora un angelo che bandiva a gran voce: ‘Chi è degno di aprire il rotolo e di scioglierne i sigilli?’. E nessuno era capace, né in Cielo né in terra né sotto terra di aprire il rotolo e gettarvi uno sguardo. E io piangevo dirotto perché non si trovò nessuno che fosse degno di aprire il rotolo e gettarvi lo sguardo. Ma uno dei vegliardi mi disse: ‘Non piangere! Ecco che il leone della tribù di Giuda, il rampollo di Davide, ha vinto, sì da poter aprire il rotolo e i suoi sette sigilli” (Ap 5, 1s).
La vicenda dell’Apocalisse si svolge intorno ai misteriosi sette sigilli aperti dagli Angeli nel nome dell’Agnello, simbolo di Gesù. Egli si fece avanti a prendere il rotolo alla destra di Colui che sedeva sul trono, e tutti i viventi al suo cospetto iniziarono a cantare un canto nuovo: “Degno sei di prendere il rotolo e di aprirne i sigilli, perché fosti ucciso e hai riscattato a Dio, con il tuo sangue, anime di ogni tribù e lingua, d’ogni popolo e nazione, e ne hai fatto per il nostro Dio un regno e tanti sacerdoti, e regneranno sopra la terra”.
Il sigillo indica una realtà chiusa, inaccessibile a chi non ne abbia la chiave, e Gesù nell’Apocalisse è chiamato anche: “Colui che tiene la chiave di Davide, e quando apre nessuno mai chiuderà, e quando chiude nessuno apre” (Ap 3, 7; v.anche 1, 18; 9, 1), come già aveva preannunciato Isaia (Is 22, 22).
Il sigillo sta quindi a indicare il mistero, la realtà misteriosa di Dio stesso, inaccessibile alla nostra capacità di intendere e di raggiungere. E il Vangelo ci dice: “Nessuno ha mai visto Dio, ma l’Unigenito di Dio che sta nel seno del Padre ce lo ha rivelato” (Gv 1,18). Mistero fondamentale e insondabile è quindi “Colui che sta al di là di tutte le cose” (S. Gregorio Nazianzeno). A Mosè che chiede di vedere Dio, Dio stesso risponde: “Farò passare davanti a te tutto il mio bene…, ma non puoi vedere il mio volto, perché un uomo non può vedere me e pur vivere” (Es 33, 20). Dio passa e Mosè vede il suo passaggio alle spalle dal cavo della roccia. Isaia vede il passaggio di Dio nella brezza soave (v. 1 Re 19, 1s). Ma il volto di Dio resta sigillato agli uomini viventi.
Quanto al significato di simbolo, timbro, segno, Gesù stesso dice che il Padre ha impresso su di Lui il suo sigillo (v. Gv 6,27), sigillo che è lo stesso Spirito del Padre. Il segno di Gesù a sua volta è il sangue dell’agnello (Es 12, 13), il tau salvifico (Ez 9, 6), la croce, segno del Figlio dell’Uomo (Mt 24, 30). Tutte realtà cariche di mistero.
Le realtà sigillate
La creazione rimane in gran parte sigillata. Le ricerche continuano a ritmo fortemente accelerato e il progresso tecnologico accresce alle migliaia di scienziati investigatori le possibilità di scoperte. Tuttavia rimangono ancora sigillate energie di base quali la luce, la forza di gravità, e i processi di fotosintesi e cellulari. La via rimane aperta ai giganti della ricerca in competizione con Colui che tutte queste splendide creature ha lanciato con un'unica intuizione dell’Intelligenza divina. Tutti abbiamo un’anima spirituale, ma che cos’è l’anima rimane un sigillo inviolabile.
Ma non è tanto questo progresso che interessa l’uomo in quanto uomo. Leggiamo nel profeta Baruc: “Quanto è grande la casa di Dio! Quanto è vasto il luogo del suo dominio. E’ grande e non ha fine, è alto e non ha misura… Là nacquero i famosi giganti dei tempi antichi, alti di statura, esperti nella guerra. Ma Dio non scelse costoro e non diede loro la via della saggezza, ed essi perirono per la loro insipienza” (Bar 3, 24s). Quanto è attuale questo lamento per molti giganti di questo mondo! L’Apostolo parla di uomini che tengono inceppata la verità nell’ingiustizia, mentre ciò che di Dio si può conoscere è ad essi manifesto” (Rm 1, 18s), perché il Verbo è la Luce che illumina ogni uomo veniente in questo mondo (Gv 1, 9), quindi non esistono atei in buona fede. “Fin dalla creazione del mondo infatti gli attributi invisibili di Dio,come la sua eterna potenza e la sua divinità, con la riflessione della mente sulle cose create si ravvisano. Essi quindi sono inescusabili, perché pur conoscendo Dio, non lo hanno onorato come Dio né gli hanno reso grazie, ma vaneggiarono nelle loro elucubrazioni e si ottenebrò la loro mente ottusa. Pur vantandosi sapienti, sono diventati stolti” (Rm 1, 20s).
Ma già secoli prima la Sapienza marchia di infamia gli stolti che da natura non seppero riconoscere Dio, e dai beni visibili non seppero intuire Colui che E’, e conclude: “Se tanto giunsero a sapere da potere farsi un’idea dell’universo, come mai non hanno più agevolmente intravisto il suo Signore?” (Sap 13, 1s).
La torre di Babele, simbolo biblico della superbia umana, si attualizza nelle Torri Gemelle a conferma del sigillo impresso sulla mano destra e sulla fronte dalla Bestia simboleggiata dal numero 666.
Solo Gesù può strappare la coltre che copre ancora oggi gran parte del mondo e sciogliere il velo di coloro che ancora giacciono nelle tenebre e nell’ombra della morte (Lc 1, 79).
Chi non porta il sigillo di Dio, cioè non gli appartiene, è schiavo di un altro sigillo: quello di Satana. Gesù lo ha detto con estrema chiarezza ai giudei del suo tempo: ”In verità, in verità vi dico: chiunque commette il peccato è schiavo del peccato… Voi avete per padre il diavolo e volete compiere i desideri del padre vostro. Fin dal principio egli è stato omicida e non stette fermo nella verità, perché in lui non è verità. Quando dice menzogne parla secondo la sua natura, perché egli è mentitore ed è il padre della menzogna”(Gv 8, 34, 44s).
Satana impone un sigillo durissimo ai suoi schiavi. Lo vediamo, ad esempio, in quanti sono giocati da Satana nella loro intelligenza incapace di bene e dediti ad ogni genere di viltà. Essi sanno che pesa su di loro la condanna dell’Apocalisse, che li definisce “i vigliacchi” (Ap 21, 8), ma non riescono a liberarsi dalla forza di inerzia che li spinge a volere il male per il male. Hanno la possibilità di verificare il fallimento tragico delle loro teorie nelle centinaia di milioni di morti e nei fiumi di lacrime suscitate dalla marcia del comunismo nella storia attuale, ma il sigillo di Satana li impedisce di agire diversamente. Respirano viltà per gravitazione irresistibile, ne hanno bisogno come l’albero ha bisogno di concime o lo scarabeo stercorario ha bisogno di fogna. Loro lo sanno, nei momenti lucidi annusano il fetore della propria depravazione, ma hanno bisogno che qualcuno abbia il coraggio di ricordarglielo, semmai riescano a liberarsi dallo spirito di stordimento (Rm 11, 8) che ha colpito i loro sigillati cervelli. E’ penoso vedere la profonda devastazione della dignità umana in questi infelici, ma il sigillo di Satana è più duro del diamante.
Anche la Redenzione rimane per molti sotto sigillo. Gesù rimaneva una realtà sigillata per gli oppositori suoi contemporanei. “Gesù passeggiava nel tempio sotto il portico di Salomone. Allora i giudei gli si fecero attorno e gli dicevano: ‘Fino a quando terrai l’animo nostro sospeso? Se tu sei il Cristo, dillo a noi apertamente’. Gesù rispose loro: ‘Ve l’ho detto e non credete. Le opere che Io compio nel nome del Padre mio, queste mi danno testimonianza, ma voi non credete perché non siete mie pecore’” (Gv 10, 22s). Essi hanno l’altro sigillo, quello di Satana. Le loro intelligenze sono sigillate dal marchio di Lucifero, che li impedisce di entrare nel Regno di Gesù. Il Maestro li smaschera: “Ipocriti, sepolcri imbiancati!…” (Mt 23, 25s); “Guai a voi, dottori della Legge: vi siete impossessati della chiave della scienza, non siete entrati voi e avete impedito coloro che volevano entrare” (Lc 11, 52).
“Non siete mie pecore”: “Non portate il mio sigillo, e Io sono per voi sigillato! “Chi non è con Me, è contro di Me, e chi non raccoglie con me, disperde” (Lc 11, 23). Condanna terribile il non appartenere a Gesù. E il marchio di Satana è sempre la superbia che fece dire a Lucifero: “Non serviam”.
Gesù ci introduce in un mistero che resta in parte sigillato e fa parte dell’insondabilità di Dio: “Le mie pecore ascoltano la mia voce, e Io le conosco ed esse Mi seguono”. Mi seguono perché “il Padre mio me le ha date, e nessuno potrà rapirle dal Padre mio. Io e il Padre siamo una cosa sola” (Gv 10, 22s). E’ in forza di questa misteriosa elezione divina, il cui mistero resta sigillato, che si stabilisce la congenialità spirituale con Gesù e il Padre: “Io sono il Buon Pastore e conosco le mie pecore, e le mie pecore conoscono Me, come il Padre conosce Me e Io conosco il Padre, e per le mie pecore do la mia vita” (Gv 10, 14).
Il mistero di Gesù rimane sempre in profondità sigillato anche ai santi, perché Dio è infinito. Tuttavia Gesù stesso indica la via dritta per conoscerlo in modo progressivo: “Se voi rimanete costanti nella mia Parola sarete veramente miei discepoli, conoscerete la Verità, e la Verità vi farà liberi” (Gv 8, 31s).”Quando verrà Lui, lo Spirito di Verità, vi condurrà alla Verità tutta intera. Non vi parlerà da Sé ma vi dirà quanto ascolta, e vi annunzierà le cose future. Egli mi glorificherà perché riceverà di ciò che è mio per annunziarlo a voi. E’ mio tutto quanto ha il Padre” (Gv 16, 12s). Magnifico passo trinitario che riguardo al futuro previene la rottura dei sette sigilli dell’Apocalisse.
Le disposizioni per entrare nella Verità Sigillata sono chiaramente definite in particolare nei grandi discorsi di Gesù: sulle Beatitudini (Mt 5s), sul Pane di Vita (Gv 6, 22s), dell’ultima Cena (Gv 13s).
“Gesù esultò di gioia per virtù dello Spirito Santo e disse: ‘Io ti lodo e Ti ringrazio, o Padre, Signore del Cielo e della terra, perché hai tenuto nascoste queste cose ai saggi e agli scaltri, e le hai rivelate ai semplici. Sì, o Padre, perché così è piaciuto a Te. Ogni cosa è stata data dal Padre mio, e nessuno conosce chi è il Figlio se non il Padre, né chi è il Padre se non il Figlio, e colui al quale il Figlio voglia rivelarlo” (Lc 10, 21s).
I segreti di Dio si rivelano agli umili: “Se non vi farete piccoli come fanciulli, non entrerete nel Regno dei Cieli” (Mt 18, 3).
Ci sono gradi diversi di comprensione: “In una casa grande non ci sono soltanto vasi d’oro e d’argento, ma anche di legno e di coccio” (2 Tm 2, 19s). Tuttavia l’Apostolo esorta ad anelare ai carismi migliori (1 Cor 12, 21), e Lui stesso indica quali. Il migliore è quello della Carità (1 Cor 13, 13), il primo comandamento, perché “Dio è Amore” (1 Gv 4, 8), e l’Amore è il sigillo dei suoi eletti: “Mettimi come sigillo sul tuo cuore, come sigillo sul tuo braccio, perché potente come la morte è l’amore…e le sue fiamme sono fiamme divine” (Cant 8, 6s). Esattamente il contrario del marchio di Satana sulla fronte e sulla mano.
Sul sentiero della carità perfetta si sviluppa nella Chiesa il dono mistico, che porta necessariamente il sigillo della Croce, a volte visibile nelle Stigmate, come in Padre Pio. Senza questo segno, non c’è che illusione, come nei presunti carismatici che oggi vanno diffondendo messaggi a iosa. Il dono mistico tiene sigillato con vigore alla Croce, ma al tempo stesso apre al mistico le cose sigillate di Dio. Il mistico ha un accesso privilegiato al mondo di Dio ed è innalzato a conoscere Dio, Gesù, la Vergine, gli Angeli in modo esperienziale non consentito ad altri, abitualmente con squarci profetici riguardanti il futuro, secondo la promessa di Gesù.
La Chiesa porta il sigillo gerarchico di Pietro e il sigillo mistico di Giovanni e di Paolo. Il sigillo gerarchico è fondato sulla promessa di Gesù “Tu sei Pietro e su questa pietra fonderò la mia Chiesa” (v. Mt 16, 18s). Il sigillo mistico si radica nella promessa dello Spirito Santo che porta alla Verità tutta intera (Gv 16, 12s). Il radicamento gerarchico garantisce la stabilità della Chiesa sino alla fine dei tempi sulla base della Parola eterna del Vangelo (Mt 28, 20); mediante i mistici Gesù si fa presente alla sua Chiesa a tempo reale, offrendo ai Pastori e al Popolo di Dio indicazioni aggiornate su come pensare, giudicare, agire di fronte a grandi prove alle quali è soggetta la Chiesa. Si pensi alla luce proiettata sulla Chiesa di oggi dalle Apparizioni di Lourdes, Fatima, Medjugorje con il dono profetico di Maria Rosa Mystica, e anche ai grandi mistici come Caterina da Siena, Don Bosco, Padre Pio, e ai mistici oggi viventi di cui trasmettiamo i richiami accuratamente vagliati. Essi sono la voce viva di Gesù nel buio che avvolge la terra sotto la minaccia di una tragedia planetaria.
Il disegno sigillato di Dio si va dipanando nell’attesa di un’epoca nuova che seguirà il grande travaglio minacciato dalle voci mistiche suscitate in mezzo a noi. “Lo Spirito e la Sposa dicono: Vieni!” (Ap 22, 17).
Nell'imminenza della terza guerra mondiale, che avanza in un vortice inarrestabile a causa dei gravissimi peccati degli uomini, è bene riflettere come le rivoluzioni e le guerre di questi ultimi secoli sono state volute per un chiaro disegno massonico. Già il rosacroce Valentin Andreas dichiarava che "La grande opera, forse più grande della costruzione del Tempio un tempo desiderato da Davide" sarebbe stata la distruzione della Chiesa. Al congresso di Liegi nel 1865, il Gran Maestro La Fargue dichiarava: "Sono quattrocento anni che noi scalziamo il Cattelicesimo, la macchina più forte che sia stata inventata in fatto di spiritualismo. Essa è solida ancora, disgraziatamente. La Rivoluzione è il trionfo dell'uomo su Dio" (Delassus, Il problema dell'ora presente, vol 1, p. 32). Quattro secoli riportano alle origini della setta dei Rosacroce, di ispirazione ebraic, precursori della Massoneria, che contiene ancora i Rosacroce nel diciottesimo grado della Massoneria (18=3x6, i tre sei dell'empietà equivalente al 666 dell'Apocalisse 13, 18).
La stessa Massoneria considera il suo più autorevole antenato il Rosacroce Komenius (1592-1671), che nel suo Pansophiae Prodromus (1631) delineò i tratti di una nuova ecumene opposta alla Chiesa, e istituì a Londra il "Collegium Lucis", titolo che ha un riscontro nel Lucifer Trust, poi chiamato Lucis Trust istituito nel 1922 dalla satanista Alice Bailey, dal quale si sviluppò il New Age.
Un momento assai significativo dell'attuazione del mondialismo massonico, dopo la Rivoluzione Francese suscitata dalla Massoneria in collaboreazione con gli Illuminati di Baviera, è quanto su indicazione di Lord Palmerston, ministro della regina Vittoria, nel 1849 venne pubblicato sul Globe di Londra riguardo al futuro assetto dell'Europa (nel 1848 sotto la sua guida si scatenò la rivoluzione europea, organizzata dal satanista Mazzini con Kossuth e Ledru Rollin, mentre Marx era a Londra a pubblicare Il Capitale): far leva sulla Prussia e alleati per una guerra che portasse alla distruzione dell'Impero Austroungarico e dello Zarismo russo, unificare l'Italia contro il Papato, indebolire l'intera area cattolica nelle sue periferie (v. Il vitello d'Oro, p. 190s e note).
Le logge massoniche furono imbevute di questo programma e non è da meravigliarsi che abbiano favorito in pieno lo scoppio della prima guerra mondiale, dalla quale l'Europa uscì come era stata ideata dal Parlmerston.
I trattati mondialisti massonici hanno avuto diverse messe a punto, fino agli scritti del massone Saint Yves d'Alveydre (1842-1909), al Patto Sinarchico (1935) e alle recenti pubblicazioni sul Piano Global 2000 ecc. Il Sinarchismo massonico punta alla fusione delle culture, delle politiche, delle istituzioni sociali, delle stesse religioni sotto un'unica autorità mondiale massonica, e non ci vuole particolare perspicacia per vedere come lo stesso ecumenismo in atto nella Chiesa, lo sbandamento modernista, l'invasione dell'Islam in Europa e altri fatti vistosi si svolgano su ispirazione del sinarchismo massonico. Si veda su questi argomenti Il Vitello d'Oro, che illustra le principali tappe del mondialismo massonico.
Dal documentato volume di Jean Lombard, La face cachée de l'histoire moderne, vol 1°, pp. 563, edito in francese a Madrid nel 1964, traduco la conclusione di pp. 552-554, sulle predizioni di Albert Pike e Giuseppe Mazzini circa le guerre dell'800 e le guerre modiali di questo secolo.
E' fuori dubbio che Mazzini fu massone e satanista molto attivo, organizzatore da Charleston a Calcutta dei Triangoli del Palladismo in collaborazione col generale massone Albert Pike. Di questa organizzazione internazionale sono riportati i centri nel volume di Margiotta, massone di alto grado uscito dalle logge.
Giova riflettere sulle date, anche della pubblicazione del volume di Lombard, in cui viene delineata la situazione del mondo negli anni sessanta, in cui non si prevedeva quanto oggi avviene sotto i nostri occhi.
"Delle due sconfitte subite dalla Francia, sconfitta militare e fallimento del socialismo (alla Comune del 1870), approfittarono soprattutto i finanzieri cosmopoliti dell'Europa centrale e i fedeli discepoli di Karl Marx. Ben presto i manipolatori del gioco hanno aggiornato i loro piani sostituendo alla formula della rivoluzione gnerale (1848) e della guerra-rivoluzione (1870.71), il trinomio crisi-guerra-rivoluzione e di un ciclo di tre guerre mondiali che devono marchiare il XX secolo.
Promotori del Word Revolutionary Movement, Giuseppe Mazzini e il generale americano Albert Pike concepirono ed esposero questo piano nella corrispondenza che si scambiarono il 22 gennaio 1870 e il 15 agosto 1871.
Mazzini, fautore inveterato di internazionali e di rivoluzioni ci è ben noto. Quanto al suo interlocutore Pike , benché nato a Boston (nel 1809) e formato ad Harvard, è un Sudista che ha governato territori indiani e comandante degli ausiliari reclutati loro tramite dalla Confederazione (che bisognò presto bandire per mettere a fine i loro saccheggi); ma è soprattutto un alto dignitario della Massoneria: 33° grado e discepolo all'inizio del celebre occultista Gran Maestro Mackey, è divenuto Sovrano Gran Commendatore di Rito Scozzese per il Sud, poi fondò la sua propria obbedienza Luciferina, il New Reformed Palladian Rite, destinato a ispirare e controllare il Movimento rivoluzionario mondiale, sottomesso all'autorità dei tre Supremi Consigli a Charleston (Carolina del Sud), Roma e Berlino, con 23 Consigli subalterni, presto collegati tra loro (prima di Marconi), mediante una rete di sette Arcula Mystica (raggi) tra Charleston, Roma (ove il Gran Maestro Lemmi, del Grande Oriente Italiano succederà a Pike), Napoli, Berlino, Wahsington, Montevideo e Calcutta (ove dalla metà del XVI secolo i Rosa Croce superiori possedevano un collegio).
In seguito a ricerca, abbiamo potuto stabilire che questa corrispondenza si trova conservata negli Archivi di Rito Scozzese a Temple House (Wahsington D.C.), ma off limits (ossia di consultazione riservata), benché la lettera di Albert Pike sia stata esposta una volta alla British Museum Library di Londra.
Noi ci siamo attenuti a pubblicare qui a modo di conclusione di questo primo volume e d'introduzione al successivo, gli estratti riassunti o citati dal Commodoro William Guy Carr nel suo libro Pawns in the Game (1967, a p.XV ). Questo ufficiale di marina canadese faceva parte della squadra fomata dall'ammiraglio britannico Sir Barry Domville, già capo della Naval Intelligence, destituito nel 1936 e più tardi pensionato da Winston Churchill come antibellicista.
Ecco questi testi.
La prima guerra mondiale dev'essere provocata al fine di permettere agli Illuminati di rovesciare il potere degli Zar in Russia e di fare di questo paese una fortezza del comunismo ateo. Le divergenze suscitate dall'agentur degli Illuminati tra gli imperi britannico e tedesco devono servire a fomentare questa guerra. Alla fine il Comunismo dovrà essere edificato e utilizzato a distruggere gli altri governi e indebolire le religioni.
La seconda guerra mondiale dev'essere fomentata approfittando delle divergenze tra i Fascisti e i Sionisti politici. Tale guerra deve essere provocata in modo che il Nazismo venga distrutto e che il Sionismo sia abbastanza forte da instaurare lo stato sovrano in Palestina. Durante la seconda guerra mondiale, l'Internazionale Comunista deve diiventare abbastanza forte da controbilanciare la Cristianità. Questa sarà allora contenuta e tenuta in scacco fino al momento in cui si sarebbe ricorso ad essa per il cataclisma sociale finale. Quale persona informata potrebbe negare cheRoosevelt e Churchill hanno realizzato questa politica?
La terza guerra mondiale dev'essere fomentata approfittando delle divergenze suscitate dall'agentur degli Illuminati tra i Sionisti politici e i dirigenti del Mondo Islamico. Essa deve essere condotta in maniera che l'Islam (il mondo arabo musulmano) e il Sionismo politico si distruggano a vicenda. Mentre le altre nazioni, una volta in più divise su questo affare, saranno costrette a combattersi tra loro fino al totale epuisement fisico, morale, spirituale ed economico.
Quale pesona ragionevole e imparziale potrebbe negare che gli intrighi in atto nel Vicino e nel Medio Oriente, come nell'Estremo Oriente, non preparino il compimento di questo disegno infernale? Il 15 agosto 1871 Pike disse a Mazzini che alla fine della terza guerra mondiale coloro che aspirano a dominare il mondo fuori contesto provocheranno il più grande cataclisma sociale che il mondo abbia mai conosciuto.
Qui citiamo con esattezza le espressioni prese dalla sua letera del British Museum Library di Londra:
"Noi stiamo per sciogliere i Nichilisti e gli Atei e provocare un formidabile cataclisma sociale che in tutto il suo orrore mostrerà chiaramente alle nazioni gli effetti di un ateismo assoluto, origine del più selvaggia e sanguinosa sovversione.
Allora tutti i cittadini, costretti a difendersi contro la minoranza rivoluzionaria mondiale, stermineranno i demolitori della civilizzazione e le masse deluse dal Cristianesimo, il cui spirito deista, abbandonato da questo momento senza bussola alla ricerca di una ideologia, senza sapere verso chi rivolgere la propria adorazione, riceverà la vera luce grazie alla manifestazione universale della pura dottrina di Lucifero, rivelata infine agli occhi di tutti, manifestazione che seguirà l'annientamento del Cristianesimo e dell'ateismo, simultaneamente sottomessi e distrutti".
L'agenzia ai primi di ottobre ha diffuso l'informazione che l'11 ottobre i duemila ebrei impiegati nelle due Torri erano stati avvertiti di non presentarsi al lavoro. Questo fatto rimette in discussione l'intera vicenda dell'assalto alle due Torri...
Il sinarchismo massonico
Contemporaneamente, nel 1922 nascevano a Vienna il Movimento Paneuropeo e in Francia il Movimento Sinarchico, entrambi ispirati al programma di esser modelli di quella organizzazione che dovrà diffondere i principi dell’«ordine nuovo». Tra i vari compiti la Sinarchia dovrà: integrare tutte le tendenze dello spirito, culturali e religiose, attraverso una rivoluzione silenziosa, ma reale e totale, che si compirà «ignorando i privilegi ecclesiastici, nobiliari, tradizionali o recentemente acquisiti»; la rivoluzione degli spiriti si compirà con la riduzione di tutti i valori ad un unico denominatore; il «nuovo umanesimo» o «umanesimo integrale»; far comprende ai massoni ancora fermi a una furiosa offensiva contro la Chiesa e non ancora preparati alla tattica dei solve et coagula (scompiglia a riunisci) il gioco sottile dell’assorbimento della Chiesa, disunendo i cattolici e tendendo apparentemente la mano alla Chiesa stessa; far sparire, affinché gli attacchi possano essere fruttuosi, la diffidenza ancora esistente nei cattolici contro la massoneria; col passare degli anni emergerà uno spiritualismo ecumenico «al di là di tutte le religioni».
— Dal 1921 negli ambienti modernisti circolava un memoriale anonimo (Le Mémoire sur la Sapinière = Memoriale sulla bara) che diventò un’arma nelle mani di quei cattolici appassionati di un «ordine nuovo» nel nome dei quale vengono deplorati gli indugi della Chiesa e affermata la necessità di porla nel senso della storia, adeguandola alla evoluzione dei tempi in direzione modernista.
Il dialogo tra massoni ed ecclesiastici diventava una realtà dapprima in Germania, poi in Francia con gli incontri di Aix-la-Chapelle, ecc., e una serie di conversazioni rivolte a por termine alle polemiche tra cattolici e framassoni. Questo tentativo di dialogo coinvolse in seguito altri sacerdoti.
— Nei 1935 venne alla luce il Pacte Synarchique, un docu mento segreto che (in 13 punti e 538 articoli) esponeva i princIpi e le tecniche della pianificazione sinarchica mondiale: tutte le religioni sono uguali e ugualmente chiamate a integrarsi nella visione sinarchica;
in particolare l’adattamento del Cattolicesimo alla Sinarchia impone: un suo avvicinamento culturale alle altre religioni e un addolcimento giurisdizionale secondo le esigenze dei collegialismo sinarchico; il riavvicinamento della Chiesa alla massoneria, motivato anche dal fatto che la massoneria avrebbe un fondo di cristianesimo non riconosciuto dai Papi che l’hanno condannata (di qui la necessità di rivedere le condanne);
la Sinarchia comporta la creazione di un Ordine Nuovo che abbracci tutte le manifestazioni della vita sociale e individuale (religioni, culture, imprese, sindacati, ecc.): «La nazione sinarchica si manifesta ontologicamente attraverso l’insieme dei suoi universitari, pedagoghi, ecclesiastici, artisti, saggi, intellettuali, tecnici puri: essi formano una demos-ideocrazia di servizio, di merito, di talento». Anima di questa religione universale: l’esoterismo;
ne risulterebbe un «uomo nuovo» cosmopolita le cui idee, aspirazioni e comportamenti dovrebbero omogeneizzarsi con un nuovo ordinamento mondiale, elaborato dalle alte sfere della Sinarchia al di sopra di ogni diversità di religione, di razza, di sesso, di ceto sociale”.
La dottrina sinarchica troverebbe la sua rappresentazione plastica nel Tempio della Comprensione (The Temple of Understanding), in progetto da alcuni anni a cura di studiosi ed esperti di religioni, associati allo scopo negli Stati Uniti.
«Il "Tempio” doveva sorgere sulle rive del fiume Hudson, a nord-ovest di Washington, ma il progetto originario fu mutato poiché la località prescelta — come è stato comunicato da Washington, da persone che lavorano alla sua esecuzione — non consentiva la realizzazione di quell’oasi di pace più confacente ad un luogo di raccoglimento, di meditazioni e di studi, cui vuole essere destinato il “Tempio”, come nelle intenzioni dei suoi promotori.
Lo scopo fondamentale di questa grandiosa costruzione, per la realizzazione della quale si prevedeva inizialmente una spesa di oltre 50 milioni di dollari, è quello di dare al mondo un centro di studi delle sue più grandi e fondamentali religioni, partendo dal principio chd Dio è unico e che, quindi, tutte le religioni girano intorno ad un asse, con differenze solo formali e non sostanziali. Lo studio ditali differenze formali, delle loro origini, degli attriti che esse procurano tra i fedeli delle diverse fondamentali religioni (sino a minacciare talvolta la pace dei popoli), dovrebbe esser alla base delle finalità istituzionali dei tempio. In altre parole, ii “tempio della comprensione” dovrebbe avere, per i problemi riguardanti le religioni, lo stesso compito che ha l’ONU per quanto riguarda i rapporti politici tra i diversi stati del mondo.
Il tempio è stato ideato come una grandiosa costruzione avente la seguente struttura architettonica: un grande cerchio centrale, frazionato in “sei” archi; ciascun arco rappresenta una delle facciate dei singoli “sei” templi che andranno ad ospitare le. “sei” rispettive religioni. Ogni singola ala del tempio (e cioè ogni singola sede delle religioni più diffuse dei mondo) conterrà biblioteche, sale di studio, centri di ricerche e di informazioni, ed un vasto stuolo di funzionari ed impiegati. Per ciascuna delle religioni vi saranno degli organi direttivi indipendenti, sui quali avrà autorità superiore un organo collegiale in cui saranno rappresentate tutte le religioni, una sorta di “super-governo” con poteri sopranazionali, che dovrebbe tra l’altro essere investito dei compito di dirimere le controversie sorgenti tra le varie religioni, e di interferire nei conflitti scaturienti dai diversi riti.
La realizzazione del “tempio della comprensione” — per il quale è stata promossa in tutti gli stati del mondo una colossale raccolta di fondi — ha avuto il pieno assenso dei governo degli Stati Uniti»’.
Un altro tentativo di tempio sinarchico era già stato organizzato da Edith Kermit Roosevelt con una circolare del 31 marzo 1962, che porta queste espressioni: «E in programma l’erezione di un tempio a Washington per i cittadini dei mondo allo scopo di sviluppare l’intelligenza universale al posto delle sue limitazioni nazionaliste... La futura costruzione avrà Ie caratteristiche di una Unione Spirituale delle Nazioni, e sarà il simbolo della fraternità deI genere umano... Un’ala di questa moderna Torre di Babele sarà affittata alle sei religioni internazionali: Induismo, Giudaismo, Buddismo, Confucianesimo, Cristianesimo e Islam... Il simbolismo previsto per il Monumento è un ritorno alla Magia nera praticata dai pontefici dell’antico Egitto... Sarà illuminato tutta la notte per manifestare simbolicamente che, anche quando il mondo dorme, la luce dello spirito continua a brillare, ecc.». Tra le adesioni reclamizzate dall’appello per la raccolta dei fondi figurano i nomi di alte personalità iniziatiche. Il documento accenna a un tempio occultistico di Londra e alla «Camera di Meditazione» di New York City (Vr 212-214).
(S. Caterina da Siena)
L’Arbore della Carità è radicato nella Fede in Dio che è Amore: “La forza dell’albero è tutta nelle radici”, così la forza dell’amore verso il prossimo è radicata nell’Amore di Dio e da esso alimentata.
Dio è Amore (1Gv 4, 8).
Il Padre: Dio ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio Unigenito (Gv 3, 16)
Il Figlio: Nessuno ha amore più grande
Lo Spirito Santo: Spirito Fonditore che fa di tutti uno
L’Arbore della Carità è il primo Comandamento
Ascolta, Israele: Il Signore è il nostro Dio. Il Signore è uno solo. Ama dunque il Signore tuo Dio con tutto il cuore, con tutta la tua anima, con tutta la tua mente, con tutte le tue forze. Il secondo è questo: Ama il prossimo tuo come te stesso. Non c’è altro comandamento maggiore di questi (Mc 12, 28s; Mt 22, 34s). Questi precetti che Io ti do ti siano fissi nel cuore: li ripeterai ai tuoi figli, e parlerai quando sarai seduto in casa tua, quando camminerai per via, quando ti coricherai e quando ti alzerai (Dt 6, 4s). Vi do un comandamento nuovo…Questo è il mio comandamento: che vi amiate gli uni gli altri come Io ho amato voi (Gv 15, 12).
L’Arbore della Carità si alimenta mediante la Speranza. Venite, benedetti del Padre mio: ebbi fame e mi avete dato da mangiare (Mt 25, 31s) Beati i misericordiosi (v. Mt 5, 1s) In Paradiso non entra nulla di impuro (v. Ap 21, 27)
L’Arbore della Carità si dirama nei dieci Comandamenti:
i primi tre che riguardano Dio: Io sono il Signore Dio tuo: non avrai altro dio fuori di Me
Non nominare il nome di Dio invano
Ricordati di santificare le feste
Gli altri sette riguardano il prossimo:
Onora il Padre e la madre
Non ammazzare
Non commettere atti impuri
Non rubare
Non dire falsa testimonianza
Non desiderare la donna d’altri
Non desiderare la roba d’altri
L’Arbore della Carità produce fiori profumati e frutti gustosi:
Ebbi fame e mi avete dato da mangiare: l’avete fatto a Me! (Mt 25, 31s)
La carità è paziente (Inno di San Paolo: 1 Cor 13, 1s)
Frutti dello Spirito sono amore, gioia, pace (Gal 5, 22s)
In una delle prime apparizioni a Medjugorje, avviando i veggenti alla preghiera, la Regina della Pace disse loro di iniziare con la recita del Credo, da Lei definita “la preghiera più bella”. Essa è il fondamento e la sintesi della Fede cattolica. E’ detta simbolo apostolico perché riassume in espressioni essenziali i misteri principali della Fede trinitaria trasmessa dagli Apostoli: la Creazione, la Redenzione, lo Spirito Santo, la Chiesa, la Fine del mondo.
Il Credo contiene cose enormi e meravigliose, che occorre meditare e gustare con immensa gratitudine a Dio che ci ha sottratti dal potere delle tenebre e ci ha trasferiti nel regno del suo diletto Figlio, nel quale abbiamo la Redenzione (Col 1, 13).
Rendiamoci conto della ricchezza inesauribile che Dio ci ha donato senza alcun nostro merito.
Dio Creatore
Credo in un solo Dio, Padre onnipotente, Creatore del cielo e della terra, di tutte le cose visibili e invisibili.
Credo in un solo Dio. La fede di sempre non ammette altri dèi, come pretenderebbe il falso ecumenismo massonico suggerito da Satana per distruggere la Chiesa.
Il monoteismo accompagna l’intera Rivelazione dalle origini fino ad oggi, senza oscillazioni. Il primo comandamento è “Il Signore è uno solo. Non avrai altro dio di fronte a Me. Tu amerai il Signore Dio tuo con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima e con tutte le forze (Dt 4, 6; 6, 4s), e a Lui solo servirai” (Dt 6,14). “Non andrete dietro ad altri dèi, poiché un Dio geloso è il Signore tuo Dio: che non si accenda la collera del Signore tuo Dio contro di te, e ti stermini dalla faccia della terra” (Dt 6, 14s).
Allah non è un dio, ma un demonio: egli con la “guerra santa” vuole la morte di coloro che non lo adorano, mentre il vero Dio ha dato la vita sulla croce per salvare anche coloro che non credono. Altre religioni non conoscono il vero Dio, e le religioni panteiste (Induismo ecc.) identificano dio con il divenire del mondo, oppure hanno idee molto deviate, che giungono fino all’adorazione di Satana, il grande mistificatore dell’idea di Dio che fin dalle origini ha sedotto gli uomini a religioni false. “Gli dèi dei gentili sono demoni” (Sal 15, 5).
Dio Padre.
Dio è Padre innanzitutto del Figlio suo prediletto. Dio è anche Padre nostro. Questa verità ci è rivelata da Gesù, che ci invita a rivolgere a Dio il titolo di Padre e ci rivela i tratti meravigliosi della divina paternità: “Il Padre vi ama” (Gv 16, 27). E ci invita: “Quando pregate, dite:’Padre nostro che sei nei Cieli’” (Mt 6, 9S).
Onnipotente.
Gesù ci esorta a una fede illimitata nel Padre: “Se aveste fede quanto un granello di senape, direste a questo monte ‘Spostati di qua a là’, e si sposterebbe, e nulla vi sarà impossibile” (Mt 17, 20), perché “Nulla è impossibile a Dio” (Lc 1, 37). E’ il Creatore!
Creatore del Cielo e della terra.
La Creazione è il primo Vangelo, la prima rivelazione di Dio alla portata di tutti. “I cieli infatti narrano la gloria di Dio, e le opere da Lui fatte predica il firmamento” (Sal 18).
Contro il dogma della Creazione la massoneria ha sferrato un attacco furioso, mobilitando soprattutto gli scienziati ad affermare un evoluzionismo ateo. La negazione in fondo si riduce all’irrazionale, sostituendo al principio della causalità il caso (Monod ecc.), la magia, il nulla.
La Scrittura richiama alla ragione: “Dalla grandezza e beltà delle cose, argomentando, se ne deduce il Primo Fattore…Se giunsero a saper tanto da poter farsi un’idea dell’universo, come mai non hanno più presto trovato il Signore di esso?” (Sap 13, 1-9). “Gli attributi invisibili di Dio…con la riflessione della mente sulle cose si ravvisano” (Rm 1, 20s).
Le scienze ci consentono di intuire nel cosmo il tessuto unitario che dalla luce ha dato origine per processo evolutivo a tutti i gradi della materia dalle forme più semplici alle più complesse. Dio non pensa col nostro contagocce intellettuale di un’idea dopo l’altra, ma vede tutto in unità onnicomprensiva.
L’evoluzione è un fatto globale. Esiste nel mondo materiale una interdipendenza temporale e spaziale di tutti gli elementi senza interruzioni o sfasature.
Nel tempo: nel creare la luce, Dio pensa le iridescenze delle farfalle e gli occhi delle aquile. Gli scienziati stessi evidenziano le epoche dei salti qualitativi della materia dalle forme più semplici alle più complesse fino all’apparire della vita. Ogni salto qualitativo sarebbe impossibile senza i precedenti, che rimangono come indispensabile suo fondamento. Senza la luce, senza l’energia gravitazionale, una fragola sarebbe impossibile.
Nello spazio: ogni forma sussiste in stretta armonia con le altre indispensabili forme che la rendono possibile. Quante energie, quanti elementi convergono in un grappolo d’uva!
Gesù ci rivela in particolare la bontà di Dio nella Provvidenza (Mt 6, 24s), nella Misericordia (Mt 5, 43s), nella Redenzione (Gv 3, 16, ecc.).
“Tu solo sei buono e fonte della vita, e hai dato origine all’universo per effondere il tuo amore su tutte le creature e allietarle con gli splendori della tua luce” (Lit. Can. IV).
Creatore di tutte le cose invisibili.
Il mondo spirituale rispecchia il soprannaturale, nel quale la Fede ci dice che Dio ha creato gli Angeli, puri spiriti indipendenti come Dio dalla materia: “Schiere innumerevoli di Angeli stanno davanti a Te per servirti, contemplano il tuo volto, e giorno e notte cantano la tua lode” (Lit. Can. IV). Agli Angeli Dio ha affidato la custodia dell’uomo (Lc 4, 10; Ps 90, 11; ecc.). Parte degli Angeli per ribellione a Dio sono diventati demoni (Ap 12, 7s ecc.), che seducono al male. Dio ha disposto anche l’interferenza degli esseri spirituali, buoni o cattivi, con l’uomo.
Signore del cielo e della terra.
Dio che crea, sostiene e redime è anche Signore assoluto di tutte le cose, e nessuno ha il diritto di contrastare questa regalità che Egli esercita con amore e provvidenza infallibile. “Dirà forse l’argilla al vasaio: ‘Che stai facendo?” (Is 45, 9s).
Dio ha posto le sue leggi come condizioni di vita, ed esige che esse siano osservate con fedeltà. I suoi comandamenti sono la difesa dell’uomo, la norma del suo sviluppo. E per l’uomo ha disposto ogni cosa con la condizione infallibile che ciascuno sia premio o castigo a se stesso secondo il suo modo di operare. Nessuno sfugge a questa condizione radicale. Ogni atto virtuoso porta una gioia e una crescita, ogni peccato ha la sua punizione nello sfregio che porta al peccatore, deformando il suo volto, prima di danneggiarlo negli effetti. Una menzogna rende menzognero, un furto rende ladro.
Questa legge unisce in modo ammirevole il diritto supremo e inviolabile di Dio ad essere obbedito, e la libertà dell’uomo.
Il ripetersi di azioni cattive trascina in una spirale distruttiva che può portare all’indurimento del cuore e alla cecità spirituale, come il calabrone che si ostina a urtare contro una lampada fino a rovinarsi gli occhi.
La parola Signore esalta anche la signorilità di Dio, la sua indole regale di gran Signore della Vita (Archegos tes Zoes). Una lettura attenta del Vangelo e anche degli scritti di mistici veri, una riflessione sui particolari della creazione, rivela la finezza di Dio, la sua squisitezza veramente divina che, quali immagini di Dio dobbiamo imitare: “Siate perfetti come il Padre vostro che è nei cieli” (Mt 5, 48).
Pratica della Fede.
Non siamo noi a offrire a Dio i suoi fiori sull’altare: è Lui che ce li dona con la gentilezza di Gran Signore! Nell’offrirci i suoi doni, Dio nasconde la sua mano, ma ama di essere indovinato. Trattato da Signore ci ricolma di attenzioni commoventi, che ci accendono di amore riconoscente.
Il primo atto richiesto da Dio stesso ai suoi amici è l’Adorazione, la Riverenza verso il suo nome: a Mosè davanti al roveto ardente dice: “Levati i calzari, perché la terra che calpesti è santa” (Es 3, 5). “Abramo si gettò bocconi” (Gn 17, 3) davanti al Signore. “Nel nome di Gesù ogni ginocchio si pieghi in cielo, in terra e sotto terra” (Fp 2, 10)..
Dio offre al vignaiolo grappoli d’uva dorati: se il vignaiolo incespica, ripaga con una bestemmia! Così l’uomo risponde ai suoi doni! Ricordiamo: “Indovina, Messia, chi ti ha percosso” (Mt 26, 68).
La Fede in Dio si espande soprattutto nella preghiera.
Credo in Gesù Cristo
Credo in un solo Signore, Gesù Cristo, Unigenito figlio di Dio, nato dal Padre prima di tutti i secoli, Dio da Dio, Luce da Luce, Dio vero da Dio vero. Generato, non creato, della stessa sostanza del Padre. Per mezzo di Lui tutte le cose sono state create.
Unità e Trinità di Dio. Dio è Uno, ma nell’unità della natura divina sussistono Tre Persone uguali e distinte, Padre, Figlio e Spirito Santo. Il Padre è ingenerato, il Figlio è generato, lo Spirito Santo procede dal Padre e dal Figlio. La Creazione intera porta l’impronta trinitaria.
Gesù Figlio, Verbo, Sapienza, Luce
Figlio: “Dio ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio unigenito, perché chiunque crede in Lui non perisca ma abbia la vita eterna”(Gv 3, 16).Il Figlio è della stessa sostanza (consubstantialis) del Padre.
Verbo: “In principio era il Verbo…E il Verbo si è fatto carne e abitò tra noi”. Verbum in latino, Logos in greco, significano il concetto concepito nella mente e anche la parola che lo esprime con la bocca. Gesù è indicato nel libro della Sapienza come Speculum bonitatis illius, Specchio…, immagine della bontà del Padre (Sap 7, 26). E’ quindi l’Intelligenza riflessa del Padre (come noi abbiamo l’intelligenza che si riflette su se stessa, quindi la capacità di capire che cosa pensiamo, quindi l’autocoscienza. Il Verbo è l’Autocoscienza del Padre, lo specchio della sua intelligenza.
Sapienza eterna, increata: “Dio mi ha posseduta fin dalle origini, quando fissava i cieli e posava le fondamenta della terra… Ero accanto a Lui come architetto” (Prov 8, 22s).
Luce che risplende tra le tenebre, che illumina ogni uomo… Ma le tenebre non lo hanno accolto (Gv 1, 5s). E’ il mistero del rifiuto che ha inizio con la ribellione degli angeli (Ap 12)e si fa acutissima contro Gesù: respinto da Betlemme, dalla Palestina in Egitto, da Nazaret, da Gadara, dal tempio, muore fuori le mura di Gerusalemme, e ancora oggi è respinto dal mondo con odio patologico: via ogni segno del suo Natale, via il Vangelo, via il Crocifisso, via l’Eucaristia!
“Non vogliamo che Costui regni su di noi “ Non Gesù, ma Barabba!”. Non la Fede, non la Chiesa, ma la Massoneria, il Comunismo…, il nulla!
Gesù travolge l’opposizione alla luce, vince perdendo. Sembra travolto, ma è travolgente. … “La pietra scartata dai costruttori è diventata testata angolare, e chi cadrà contro di essa si sfracellerà” (v. Mt 21, 42s).
Termine fisso d’eterno consiglio (Dante). “Per Lui create, a Lui sono volte tutte le cose, e tutto sussiste in Lui” (Col 1, 16s). Gesù è il principio, il fine, il fondamento di quanto è creato. Il Padre ha prestabilito di incentrare tutte le cose in Cristo (Ef 1, 10). Tutto sta insieme in forza di Lui: anche nell’ambito della materia tutto il lavorio dell’evoluzione confluiva alla formazione del Corpo di Gesù nel grembo di Maria; ma soprattutto nell’ambito spirituale Gesù è il centro di tutto, la via al Padre (Gv 14, 6).
Figlio di Dio e Figlio dell’Uomo, Vero Dio e vero Uomo.
Uomo in tutto partecipe della nostra fragilità: dignità regale, signorilità del cuore, sensibilità finissima al dolore, alle espressioni di carità, alle offese, alle percosse, all’amicizia, alle ingratitudini, ai rifiuti… Fino al Getsemani, alla flagellazione, alla morte in croce, alla trafissione del costato…“Il nostro Sommo Sacerdote non è incapace di compatire le nostre debolezze, ma le ha provate tutte a somiglianza nostra, escluso il peccato” (Eb 4, 14s).
Questa fragilità umana però è sostenuta dalla forza divina che lo fa spasimare il compimento della Passione e Morte per glorificare il Padre, da Lui conosciuto come Figlio, e salvare gli uomini. “Di un battesimo devo essere battezzato In un bagno devo essere sommerso, e quanta ansia mi sento finché sia compiuto!” (Lc 12, 50; Mc 10, 38). In una visione a santa Caterina, Gesù ricorda il suo spasimo di offrirsi sulla croce, e la sua gioia nel vedere avvicinarsi quel momento.
La forza più grande del cosmo non è quella che sostiene le sconfinate galassie, ma la forza dell’amore infinito che portava Gesù a offrirsi sulla croce per adorare il Padre e salvare gli uomini.
Per noi uomini e per la nostra salvezza discese dal cielo, e per opera dello Spirito Santo si è incarnato nel seno della vergine Maria e si è fatto uomo.
Figlio di Maria.
Maria, come Eva, per il corpo è tratta da Adamo e nostra sorella. La sua anima è stata tratta dal Cuore del Verbo: è Immacolata, Creazione nuova, Paradiso in terra.
E’ la Donna vestita di Sole (Ap 12, 1s), che irradia la Luce del Verbo.
E’ la Madre di Cristo e del suo Corpo Mistico, la Chiesa. Essa stessa è la Chiesa, la primizia della Chiesa, la Chiesa nel suo germe genetico, e come la Chiesa, è Madre di Misericordia (v. Isacco della Stella, sab. II di Avv.).
Fu crocifisso per noi sotto Ponzio Pilato, morì e fui sepolto. Il terzo giorno è risuscitato, secondo le Scritture, è salito al cielo, siede alla destra del Padre. E di nuovo verrà, nella gloria, per giudicare i vivi e i morti, e il suo regno non avrà fine.
Gesù è la Via.
“Io sono la via, la Verità e la Vita” (Gv 14, 6).
“Io sono la luce del mondo: chi segue me non camminerà nelle tenebre, ma avrà la luce della vita” (Gv 8, 12; v. anche Gv 12, 45).
“Chi vede Me, vede anche il Padre” (Gv 14, 9).
“Chi mi avrà riconosciuto davanti agli uomini, anche il Figlio dell’Uomo lo riconoscerà davanti agli Angeli di Dio. Ma chi mi avrà rinnegato davanti agli uomini, verrà rinnegato davanti agli Angeli di Dio” (Lc 12, 8s).
In Gesù il Padre ci ha dato tutto: il resto è un sovrappiù. Gesù è l’immensa ricchezza da noi ereditata nella Chiesa Cattolica senza alcun nostro merito. Egli è Dio, e noi Lo abbiamo presente nell’Eucaristia. Il resto ci è dato in vista di Lui, per conoscerlo, incontrarlo, amarlo, goderlo… Ricordiamo l’esortazione di Gesù stesso: “Cercate il Regno di Dio e la sua giustizia, e il resto vi sarà dato in più” (Mt 6, 33). Il regno di Dio è Gesù che ci assorbe in Sé e ci configura con Se stesso. E’ al tempo stesso Via e Vita eterna.
Credo nello Spirito Santo
Credo nello Spirito Santo, che è Signore e dà la vita,e procede dal Padre e dal Figlio. Con il Padre e il Figlio è adorato e glorificato,e ha parlato per mezzo dei profeti.
“Lo Spirito di Verità vi guiderà verso la Verità intera…Mi glorificherà, perché riceverà del mio per annunziarlo a voi. E’ mio tutto quanto ha il Padre” (Gv 16, 12s).
“Ricevete lo Spirito Santo: A chi rimetterete i peccati saranno rimessi” (Gv 20, 22).
“Venne all’improvviso dal cielo, un frastuono come soffio di venti impetuoso, e riempì tutta la casa dove abitavano, E apparvero loro delle lingue spartite come di fuoco, e si posarono su ciascuno di loro, e furono tutti ripieni di Spirito Santo, e cominciarono a parlare in altre lingue…” (At 2, 1s).
“Tutto è operato dall’unico e medesimo Spirito. Siamo stati battezzati in un unico Spirito per costituire un solo corpo, e tutti siamo stati imbevuti di un unico Spirito” (1 Cor 12, 11s).
”Nessuno può dire Gesù è il Signore se non per lo Spirito Santo” (1 Cor 12, 3).
“Il nostro corpo è tempio dello Spirito Santo” (1 Cor 6, 19).
Credo la Chiesa
Credo la Chiesa, una, santa, cattolica e apostolica. Professo un solo battesimo per il perdono dei peccati.
“Tu sei Pietro, e su questa pietra Io edificherò la mia Chiesa, e le porte dell’inferno non prevarranno contro di essa. E a te darò le chiavi del regno dei Cieli, e ciò che legherai sulla terra sarà legato nei Cieli, e ciò che scioglierai sulla terra resterà sciolto nei Cieli” (Mt 16, 18s).
La vera Chiesa è una, santa, cattolica e apostolica. I fratelli separati non sono la vera Chiesa: essi rifiutano dogmi fondamentali della Chiesa, quali l’Eucaristia, l’Immacolata, l’obbedienza al Vicario di Cristo. Pensiamo al danno prodotto dal fatto che non si confessano e non hanno l’Eucaristia.
La Chiesa è santa in Gesù che l’alimenta di Sé: pensiamo alle file di fedeli che ogni giorno si accostano ai Sacramenti e sono santificati. Gesù l’ha fatta suo Corpo Mistico: “Un corpo solo siamo noi, perché nutriti dello stesso Pane imbevuti dello stesso Spirito” (1 Cor 12, 11s).
Bisogna distinguere in essa l’elemento santificante dall’elemento santificabile, come il clero e i fedeli, soggetti a errori. Nonostante tutti i difetti e peccati umani, Gesù continua nella Chiesa a santificare coloro che si accostano a Lui con rettitudine.
Garante della Fede è il Papa, dotato di infallibilità quando proclama in modo solenne (ex Cathedra) qualche verità di Fede e nel magistero ordinario con fedeltà alla Tradizione. Per mezzo del Papa, lo Spirito Santo, che anima la Chiesa, la porta verso la Verità tutta intera (Gv 16, 12s).
“Battezzate tutte le genti” (Mt 28, 19s).
“Ricevete lo Spirito Santo. A chi rimetterete i peccati saranno rimessi” (Gv 20, 22).
Aspetto la risurrezione
Aspetto la risurrezione dei morti e la vita nel mondo che verrà. Amen.
“Tu hai parole di vita eterna” (Gv 6, 68).
“Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue ha la vita eterna, e Io lo risusciterò nell’ultimo giorno” (Gv 6, 54).
“Si semina corpo animale, risorge spirituale”(1 Cor 15, 44).
“Allora vedremo Dio a faccia a faccia” (1 Cor 12, 12). “Lo vedremo come Egli è”(1 Gv 3, 2). “Lo conoscerò bene, come sono conosciuto” (1 Cor 12,12).
“Le sofferenze del tempo presente non hanno proporzione alcuna con la gloria che dovrà manifestarsi…La creazione geme nell’attesa” (Rm 8, 18s).
“ Con tutte le creature, liberate dalla corruzione del peccato e della morte, canteremo la tua gloria” (Can IV)”Finché Dio sia tutto in tutti” (1 Cor 15, 20s).
Dopo aver assistito alla Messa di Padre Pio, un sacerdote disse: “Io non ho sentito alcun profumo, non ho avuto rivelazioni, non mi sono accorto che egli conoscesse i segreti della mia anima. Ma ho assistito alla sua Messa, e quella Messa io non la dimenticherò mai”.
A un amico che esprimeva meraviglia nel vederlo piangere durante la Messa, Padre Pio rispose:“Che cosa sono quelle poche lacrime di fronte a ciò che avviene sull’altare? Torrenti di lacrime ci vorrebbero!”.
Un suo figlio spirituale gli chiese: “Padre, come dobbiamo partecipare alla Messa?”. Rispose: “Come la Madonna, san Giovanni e le pie Donne sul Calvario, amando e compatendo”.
E a un altro:“Nell’assistere alla Messa incentra tutto te stesso nel tremendo mistero che si sta svolgendo sotto i tuoi occhi: la Redenzione della tua anima e la riconciliazione con Dio”.
Gli fu detto: “Padre, quanto le tocca soffrire nello stare per tutta la Messa in piedi, poggiando sulle piaghe sanguinanti dei piedi!”. E il Padre rispose:“Durante la Messa non sto in pedi: sto appeso”. Con Gesù sulla Croce, crocifisso con Lui!
Chi ha assistito alla Messa di Padre Pio ricorda quelle sue lacrime brucianti, quella sua imperiosa richiesta ai presenti di seguire la Messa in ginocchio. Ricorda il silenzio impressionante che avvolgeva il sacro rito e la sofferenza crudele che si sprigionava dal volto del Padre quando sillabava a strappi violenti le parole della Consacrazione, mentre i presenti lo seguivano in silenzio per più di un’ora.
A volte stentava visibilmente a toccare l’Eucaristia perché se ne riteneva indegno.
Il fratello di San Giuseppe Cottolengo espresse la sua meraviglia che il santo piangesse di commozione celebrando la Messa. La mamma gli disse: Lascia pure che pianga: lui sa il perché. All’altare si piange bene”.
Alla Messa si preparava con ore di preghiera e non consentiva che lo si disturbasse prima o dopo la celebrazione. Diceva: “Prima Dio, poi il resto”. Gli capitò anche con la marchesa Faustina, dama di corte venuta a parlargli in nome del re. Mostrandosi infastidita per l’attesa, il Santo se ne scusò dicendole che era in udienza presso la Maestà di Dio.
A tutti, insegnanti, infermiere, medici, genitori raccomandava la Messa quotidiana, e a chi diceva di non aver tempo, rispondeva: “Cattiva economia, cattiva economia di tempo!”. Quanto a se stesso diceva:”Se la Chiesa permettesse di celebrare dieci Messe al giorno, vorrei celebrarle tanto volentieri senza lasciarne una sola”.
Arrivava fino a dire: “Le ostie per me fatele grosse, perché ho bisogno di trattenermi a lungo con Gesù e non vorrei che le sacre Specie si consumassero troppo presto”.
A san Giuseppe da Copertino il superiore chiese come mai inceppasse nel pronunciare le parole della consacrazione, e il santo rispose: “Le parole santissime della Consacrazione sono sulle mie labbra come carboni ardenti. Pronunciandole devo fare come chi deve ingoiare cibi bollenti”. E avrebbe desiderato avere mani riservate solo a toccare l’Eucaristia.
Nel suo diario sant’Ignazio di Loyola annota spesso le lacrime da lui sparse durante la celebrazione della Messa. “Ogni mattina, nonostante i molti impegni, premetteva un tempo di preparazione alla celebrazione dell’Eucaristia, alla quale seguivano abitualmente due ore di orazione durante le quali non voleva essere disturbato. La celebrazione eucaristica costituiva il centro della sua orazione, era il tempo privilegiato per le sue più intime comunicazioni con Dio, spesso accompagnate da doni mistici. All’Eucaristia portava le sue intenzioni e preoccupazioni, che non mancavano nel governo della Compagnia, e in essa riceveva illuminazioni e ispirazioni che lo guidavano al fedele compimento dei disegni divini” (Giovanni Paolo II, 31.7.90).
San Francesco di Assisi ascoltava abitualmente due Messe, e le lacrime da lui versate a volte diventavano sanguigne. Diceva: “L’uomo deve tremare, il mondo deve fremere, il Cielo intero deve commuoversi quando sull’altare tra le mani del sacerdote appare il Figlio di Dio”.
San Tommaso di Aquino dopo la sua Messa ne serviva un’altra in ringraziamento. Sono suoi i meravigliosi inni per la festa del Corpus Domini.
San Luigi IX, re di Francia, ascoltava ogni giorno diverse Messe. A quel ministro che lo voleva più dedito agli affari del regno, il santo rispose: “Se impiegassi doppio tempo nei divertimenti o nella caccia, nessuno ne avrebbe da ridire!”. Ascoltava la Messa in ginocchio sul nudo pavimento, e quando gli fu presentato un inginocchiatoio, disse: “Nella Messa Dio si immola, e quando Dio si immola, anche i re si inginocchiano sul pavimento.
Altri rilievi si potrebbero fare ricordando il rispetto dei Santi per i frammenti eucaristici, così scandalosamente trascurati non solo nelle Messe dei neocatcumenali. Essendogli caduta inavvertitamente una particola, san Carlo Borromeo per quattro giorni non ebbe il coraggio di celebrare la Messa e si impose la penitenza di otto giorni di digiuno.
Santa Teresa d’Avila dopo la Messa vide un frammento di Ostia sulla patena. Chiamò allora le novizie, e in processione portò in sacrestia la patena con somma venerazione. Esagerazione di Santi? No, ma senso di proporzione di fronte alla divina Presenza.
Occorrerebbe rileggere le vite dei Santi, come Filippo Neri, Lorenzo da Brindisi, Veronica Giuliani, Giuseppe da Copertino, Alfonso de Liguori, Gemma Galgani e tanti altri per conoscere la loro sentita e spesso sofferta partecipazione al mistero della Croce.
“Come rimanere indifferenti di fronte alla crocifissione di Gesù? Non saremo come gli Apostoli addormentati nel Getsemani, o peggio come i soldati che ai piedi della Croce giocavano a dadi, incuranti degli spasimi atroci di Gesù morente? Eppure questa è l’impressione angosciosa che si prova oggi assistendo alle Messe celebrate al ritmo delle chitarre e delle tarantole, con donne in abiti sconci e giovani dalle fogge più stravaganti?” (P. Stefano Manelli). E peggio ancora
La Messa è anzitutto Sacrificio
Al di là delle aberrazioni avvenute in questi anni, rimane una riforma liturgica infetta di progressismo e superficialità elaborata in fucine progressiste ben lontane dalla luce donata alla Chiesa dalla tradizione di mistici e santi che ben percepivano il valore redentivo della Messa.
Il cardinal Ratzinger denunzia una diffusa riluttanza di teologi anche cattolici ad affermare il valore sacrificale della Messa, per accentuarne l’aspetto conviviale, riducendola a cena alla maniera protestante. Tale deformazione va contro le chiare indicazioni della Scrittura, le parole di Gesù nell’istituzione eucaristica, la tradizione perenne della Chiesa e l’atteggiamento dei Santi. Occorre approfondire il senso del Sacrificio.
“Sacrificium” è “sacrum facere”, rendere sacro, consacrare.
I sacrifici, anche pagani, si ispirano più o meno consapevolmente all’idea che l’oggetto offerto in sacrificio entra nella sfera inviolabile del sacro. Mediante il Sacrificio della Croce Cristo“entra nel Santuario una volta per tutte” (Eb 9, 11s), entra nella Luce inaccessibile di Dio offrendo se stesso al Padre come vittima senza macchia che si sostituisce a tutte le vittime offerte a Dio dagli uomini, sia nell’Antica Alleanza che nella Nuova: il suo è il Sangue della Nuova Alleanza.
Il senso della sua offerta è espresso da Gesù stesso entrando nel mondo con queste parole rivolte al Padre: “Tu non volesti sacrifici e oblazioni, ma mi hai foggiato un corpo; non volesti olocausti né vittime espiatorie. Allora dissi: ‘Eccomi, o Dio, come è scritto per Me, a fare il tuo volere”. E’ un “volere per il quale noi siamo santificati mediante l’oblazione del Corpo di Gesù Cristo una volta per sempre… Il nostro Sacerdote ha offerto in perpetuo un solo Sacrificio per i peccati e si è assiso alla destra di Dio, e con un’unica oblazione ha reso perfetti per sempre coloro che vengono santificati” (Eb 10, 5s).
Questa “consacrazione” è espressa dunque da Gesù nel “fare il volere del Padre”:”Mio cibo è fare la volontà di colui che mi ha mandato e compiere l’opera sua” (Gv 4, 34).
Il Sacrificium si attua dunque in una configurazione di Amore del Figlio per il Padre in forza dello Spirito che fa del Padre e del Figlio una cosa sola. Il fondo del Sacrificio è quindi l’Amore, che consacra nella verità.
Il Sacrificio di Gesù Cristo ci rende sacri configurandoci con Gesù nel suo Amore per il Padre. Quindi il Sacrificio Eucaristico, che perenna il Sacrificio della Croce, è essenzialmente Comunione di Amore di Gesù con il Padre, comunione nostra di amore con Gesù. La Comunione è il compimento del Sacrificio.
Il Sacrificio della Croce e il Sacrificio Eucaristico che lo attualizza hanno per noi un valore redentivo: il significato profondo della Messa è la Redenzione operata da Gesù sulla Croce: lo ha detto Lui stesso nell’atto di istituire il Sacrificio Eucaristico: “Questo è il mio Corpo, dato per voi… Questo Calice è la Nuova Alleanza nel mio Sangue: fate questo, tutte le volte che lo berrete, in memoria di Me”. ” Quindi - commenta l’Apostolo - ogni volta che voi mangiate di questo Pane e bevete di questo Calice, voi annunziate la morte del Signore fino a che Egli venga” (1 Cor11, 23s e parr.).
Da Sacro Convito a comunità secolarizzata
Spostando la prospettiva verso una concezione conviviale della Messa incentrata nella comunità, ossia oscurando il valore sacrificale della Messa a vantaggio dell’aspetto conviviale, la corrente liturgica modernista cade inevitabilmente nell’alterazione dello stesso valore conviviale dell’istituzione eucaristica, ossia dell’indole essenzialmente redentiva del Sacro Convito: da Comunione di Redenti radunati per alimentarsi del Corpo e del Sangue di Cristo e trasformarsi in Colui che mangiamo (LG 26) l’assemblea decade in riunione umanitaria, un incontro di amici per interessi terreni.
A questo punto rileviamo un altro increscioso smarrimento di certa teologia attuale: ossia l’esortazione a non fare nella celebrazione eucaristica moralismo o dell’ethos, come allude Ratzinger.
Decadimento della spiritualità
Questa “messa in guardia” dal moralismo appare in una lettera per il Congresso Eucaristico di Milano. Ci si chiede che senso abbia tale esclusione: non è forse istituita l’Eucaristia per santificarci nella Verità, come ha pregato Gesù nell’orazione sacerdotale? Che senso dare alle parole di Gesù: “Come il Padre, il Vivente ha mandato me, e io vivo per il Padre così chi mangia di me vivrà per me” (Gv 6,57)? Come dissociare l’Eucarista dalla configurazione spirituale e morale con Gesù Amore, dalla metanoia o conversione che anima l’intero Vangelo? Dimenticando l’aspetto conversivo, di configurazione spirituale con Cristo, si può ancora parlare di Eucaristia? O si vuole ridurre la Comunione a un fatto puramente fisiologico o simbolico?
Vivere per Gesù significa vivere nella sua grazia, vivere senza peccato, rinunciare a se stessi e portare la croce, vivere moralmente puri come esige il Vangelo.
S. Giovanni Crisostomo esortava: “Come potremmo noi fare dei nostri corpi un’ostia? I vostri occhi non guardino nulla di cattivo, e avrete offerto un sacrificio; la vostra lingua non proferisca parole sconvenienti, e avrete fatto un’offerta; la vostra mano non commetta peccato, e avrete compiuto un olocausto”. Senza trasformazione morale la Comunione è vana.
Col consueto acume teologico il grande Agostino insegna che “il Sacrificio Eucaristico ha come scopo che tutta la città redenta, ossia la riunione e la comunità dei santi, si offra a Dio come sacrificio universale per mezzo del Grande Sacerdote, il quale ha offerto se stesso per noi con la sua passione per farci diventare corpo di così eccelso Capo” (PO 2). L’offerta non è tanto materiale quanto spirituale, di conformità con Cristo e con Dio.
Il dissolvimento graduale
La carenza di profondità nell’intuire le implicanze del Sacrificio ha indotto le Messe spettacolo, svuotamento dell’efficacia redentiva ed esaltazione dell’esteriorità. Il profano rimpiazza il sacro fino alle forme più dissacranti, come nelle new look Masses con ragazze in calzamaglia, o nelle clown Masses celebrate perfino poco fa da Salesiani, nelle Messe con musiche e danze mondane!
I Santi non hanno fatto questione di spettacolarità liturgica. Pio XII nell’enciclica Mediator Dei ci ha indicato lo spirito con cui si deve partecipare alla Messa: mediante una configurazione con Cristo in modo che ciascuno possa ripetere le parole di San Paolo: “Sono confitto con Cristo in Croce, e vivo non già io, ma vive in me Cristo”. Sospesi con Gesù sulla Croce, come Padre Pio!
La Messa è fatta di segni, e i segni sono frecce che rimandano ai significati. Il cambiamento dei segni ha anticipato e seguito l’alterazione dei significati eucaristici.
E’ avvenuta una rivoluzione graduale che io stesso ho potuto seguire nel mio istituto religioso, che ha avuto una parte di guida in questa deplorevole vicenda.
Visitando certe nostre case religiose già negli anni settanta mi accorsi che i tabernacoli erano stati emarginati e gli inginocchiatoi erano stati sostituiti da sedie o panche.
Ancor prima che fosse introdotto l’uso della Comunione nelle mani (in seguito a una votazione della CEI nella quale l’esigua maggioranza del sì era stata raggiunta introducendo votanti non vescovi), uno dei superiori ne aveva dato l’ordine, e un mio confratello che si rifiutò di accettare l’abuso fu impedito di celebrare la Messa domenicale nella nostra chiesa.
Un altro superiore, che sbrigava la sua Messa in sette minuti, pretese che si celebrasse senza paramenti con la sola stola, abuso ormai abituale tra i religiosi di altre nazioni.
E’ stata negata la richiesta di celebrare rivolti verso la Croce, e fino all’ultima cappella il tabernacolo è stato emarginato dal centro.A Bergamo e a Schilpario i tabernacoli, a forma di lanterna, sono stati abbassati all'altezza del ginocchio, tanto che una bimba a Schilpario li aprì e due volte consumò le particole consacrate. Tale abbassamento avvenne anche a Gignese, e la presenza eucaristica veniva velata dall'organo o dalle corone di fiori per defunti ecc. Il parroco fu ricoverato per pazzia.
L’ultimo fatto significativo è stata la concelebrazione dei superiori italiani intorno a un dimesso tavolino nello stesso appartamento del Fondatore. E’ il simbolo ben visibile di una linea di condotta, di un deciso orientamento assunto dai superiori verso la “modernizzazione” della Messa a un fatto conviviale avulso dal Sacrificio della Croce. E tutto questo è avvenuto in modo graduale, per evitare traumi, sotto la copertura dell’obbedienza ai superiori! Tanto decadimento liturgico non sarebbe stato possibile se l’elezione di superiori non fosse avvenuta per via di discutibili cooptazioni. E altrettanto è avvenuto tra teologi che si esaltano a vicenda in misura degli errori da essi sostenuti.
Altre implicanze
Si pongono, a questo punto, altri quesiti riguardanti il Sacerdozio, la Vita Consacrata e la stessa Chiesa.
Svuotata la Messa del suo valore sacrificale e ridotta l’assemblea ad adunanza conviviale, che valore rimane al Sacerdozio?
E’ scritto: “Ogni sommo sacerdote, venendo assunto di mezzo agli uomini, a pro degli uomini è costituito nei rapporti con Dio per offrire oblazioni e sacrifici espiatori, sapendo benignamente compatire quelli che peccano per ignoranza o errore, perché anch’egli è soggetto a debolezze, e per esse deve, come per il popolo e così anche per sé, offrire espiazioni” (Eb 5, 1s). Questa funzione sacrificale è interpretata come estesa ad ogni presbitero che celebra il Sacrificio Eucaristico in nome dell’Eterno Sacerdote nella Chiesa. Se decade la funzione espiatoria, all’intero ordine sacerdotale rimane una semplice funzione sociale, umanitaria, che non ha nulla di sacro, di redentivo.
Per conseguenza, che senso rimane a un istituto religioso che si considera sacerdotale? La deduzione è lampante: non ha più ragione di essere, e la stessa vita religiosa decade in assembramento illusorio, anche perché l’Eucaristia perderebbe la sua forza trasformante, di configurazione con Cristo, di santificazione.
Ma essendo tutta la vita della Chiesa incentrata nel Sacerdozio di Cristo e nella sua Presenza Reale, che senso rimarrebbe alla Chiesa se non di istituzione umanitaria?
Hanno riflettuto i responsabili della curva dissolvitrice del senso sacrificale della Messa sulle conseguenze della loro spensieratezza? E non hanno ragione i sudditi di tali istituti di sentirsi traditi dai propri superiori? Per consapevole tradimento a Cristo, alla sua Chiesa, ai loro stessi sudditi, o per semplice mediocrità intellettuale? A Dio il giudizio. Ma perché certi superiori si accaniscono ancora a segare il ramo su cui sono seduti?
Il valore dei segni
I segni oggi parlano chiaro:
i tabernacoli sono stati emarginati: Gesù non è più al centro della chiesa come Presenza da adorare.
Con il decentramento dell’Eucaristia il celebrante si insedia nel centro del presbiterio voltando le spalle alla Croce e facendosi centro della celebrazione rivolta alla comunità: dato che questo è avvenuto per suggestione modernista, quindi atea, ci si chiede se non si verifichi oggi la profezia dell’Apostolo sull’uomo dell’empietà, il figlio della perdizione, l’avversario, che si innalza al di sopra di quanto viene chiamato Dio o è oggetto di venerazione, fino ad assidersi nel tempio di Dio proclamando di essere Dio lui stesso (2 Ts 2, 3s).
La celebrazione assume facilmente un aspetto spettacolare con la coreografia dei canti e delle musiche, o di altre trovate simboliche, come l’erezione della ghigliottina in segno di protesta, come è avvenuto a Monaco di Baviera.
Il darsi la mano prima della Comunione sottolinea la dimensione comunitaria e distoglie dal debito raccoglimento di unione con Gesù presente nell’Eucaristia, che divenuto Uno in tutti è il vero autore dell’unione tra i presenti alla mensa eucaristica;
La Comunione nella mano banalizza la divina Presenza, ed è anche occasione di dispersione delle particole consacrate e di dissacrazioni, perfino satanistiche. L’eccessiva facilità delle Comunioni moltiplica i casi di comunioni sacrileghe per rispetto umano: molti dimenticano il richiamo di Paolo, che “chiunque mangia il Pane e beve il Calice del Signore indegnamente…, mangia e beve la propria condanna” (1 Cor 11, 27s).
Col pretesto di dissolvere quanto fu chiamato intimismo, il dialogo personale con Gesù presente nella Comunione viene disturbato e impedito mediante la riduzione del tempo del ringraziamento, dal segno di pace dato nell’imminenza della Comunione, da ingombri di canti e musiche, dagli avvisi del celebrante rimandati proprio nei pochi minuti del ringraziamento.
Se si abbracciano altri elementi dell’attuale liturgia eucaristica, come l’abolizione degli inginocchiatoi, l’invito a stare seduti alla Comunione e in genere l’allergia al senso della riverenza profonda dovuta alla Presenza Reale, si ha la dimostrazione dell’indole deviante della riforma liturgica postconciliare, e le stesse parole della Consacrazione, rimaste a segnare la centralità del Sacrificio, appaiono quasi fuori contesto celebrativo.
Ben diversi appaiono i segni dei Santi, ben consapevoli di quanto si svolge sull’altare durante il Sacrificio Eucaristico. Se la riforma liturgica fosse stata fatta dai santi non saremmo certo arrivati a questo punto, in cui durante il Sacrificio Eucaristico non si sa più dove sia andato a finire Gesù Crocifisso, oggi sostituito da celebranti che si mettono in primo piano oscurando la Presenza del Sommo ed Eterno Sacerdote che unisce la Chiesa al suo Sacrificio di adorazione del Padre e salvezza dell’umanità.
Si vorranno forse criticare certe imposizioni restrittive del passato per la Comunione Eucaristica: il digiuno da mezzanotte, il riceverla in ginocchio alla balaustra con le mani sotto la tovaglia, il ringraziamento in ginocchio e prolungato. I liturgisti d’oggi con la loro tendenza a facilitare tutto, la loro allergia a esigere sacrifici, hanno certo allungato le file dei comunicanti, ma hanno filtrato l’eventualità di comunioni sacrileghe, di dispersione dei frammenti eucaristici, gli atteggiamenti troppo superficiali riservati al Santo Sacramento? Una più coraggiosa richiesta di mortificazione contro la faciloneria e il permissivismo, ne siamo convinti, ci avrebbe dato un cattolicesimo migliore.
Torniamo ai Santi
Il dono mistico si esprimeva nei Santi con la riverenza di cui abbiamo riportato qualche esempio, e bisognerebbe rivisitare l’intera bibliografia della santità per valutarne la portata. I Santi agivano così perché percepivano il valore del Sacrificio Eucaristico. Ne ricordiamo alcuni pensieri.
S. Agostino: “Dio, essendo onnipotente non poté dare di più, essendo sapientissimo non seppe dare di più, essendo ricchissimo non ebbe da dare di più”. “Negli uomini Cristo non trovò nulla di mondo da potere offrire a vantaggio degli stessi uomini. Allora offrì se stesso come vittima pura, vittima felice, vittima vera, sacrificio immacolato. Non offrì cose che noi gli avevamo dato, o meglio offrì cose prese da noi ma da lui stesso purificate: offrì infatti la carne che aveva presa da noi. E da chi la prese? Dal seno della Vergine Maria. Egli è Re e Sacerdote: rallegriamoci in lui”.
S. Bernardo: “L’Eucaristia è l’Amore che supera tutti gli amori del Cielo e sulla terra” (Amore di Cristo che muore in croce per la salvezza del mondo).
S. Bonaventura: “La Messa è l’opera in cui Dio ci mette sotto gli occhi tutto l’amore che ci ha portato: è la sintesi di tutti i suoi benefici”.
S. Tommaso: “Tanto vale la celebrazione della Messa quanto vale la morte di Gesù in croce”. E ogni mattina dopo la sua Messa ne serviva un’altra in ringraziamento.
S. Filippo Neri: “Con l’orazione noi domandiamo a Dio le grazie, nella santa Messa costringiamo Dio a darcele”.
S.Lorenzo Giustiniani: “Nessuna lingua umana può enumerare i favori dei quali è sorgente il Sacrificio della Messa: il peccatore si riconcilia con Dio, il giusto diventa più giusto, sono cancellate le colpe, annientati i vizi, alimentate le virtù, confuse le insidie diaboliche”.
S. Giovanni Maria Vianney: “Il martirio non è nulla in confronto della Messa, perché il martirio è il sacrificio dell’uomo a Dio, mentre la Messa è il Sacrificio di Dio per l’uomo!”. “Tutte le opere buone riunite insieme non possono valere una Santa Messa, perché esse sono opere degli uomini, mentre la Santa Messa è opera di Dio”.
S. Leonardo da Porto Maurizio: “La Santa Messa è il sole dei cristiani, l’anima della fede, il centro della religione cattolica, dove convergono tutti i riti e tutti i sacramenti. Insomma è il compendio di tutto il buono che si trova nella Chiesa di Dio”.
S. Alfonso: “Dio stesso non può fare che vi sia un’azione più santa e più grande della celebrazione di una Santa Messa”.
S. Pier Giuliano Eymard: “La Messa è l’atto più santo della Religione: tu non potresti far niente di più glorioso a Dio, né di più vantaggioso alla tua anima che di ascoltarla piamente e il più sovente possibile”.
S. Bernardetta a un sacerdote novello: “Ricordati che il Sacerdote sull’altare è sempre Gesù Cristo in croce!”.
S. Teresa di Gesù Bambino: “Nella Messa offriamo a Dio più di quello che riceviamo da Lui”.
Padre Pio: “Se gli uomini comprendessero il valore della Mesa, ci vorrebbero i carabinieri per tenere in ordine le folle di gente nelle chiese”. “La Santa Messa è infinita come Gesù. Chiedete a un Angelo che cosa sia una Messa, ed egli vi risponderà con verità: Capisco che cos’è e perché si fa, ma non comprendo quale valore abbia. Un Angelo, mille Angeli , tutto il Cielo sanno questo e così pensano”.
“Gesù, balla con noi!” E’ il ritornello che risuona nella Messa festiva di una parrocchiale milanese. Dove sono andati a nascondersi certi cervelli sacerdotali? La Chiesa chiama alla Messa festiva sotto pena di peccato grave, impegnando a una serietà che i fedeli hanno il diritto di esigere per non sprecare il proprio tempo. Ma chi protesta?
E dove è andato a finire il richiamo alla santità in questo clima di vuoto buonismo, di ecumenismo che ritiene salvifica ogni religione, di comunitarismo spensierato…? Le vocazioni sacerdotali e religiose nascono dall’Eucaristia, ma quale?
La Chiesa è Gesù! E’ Gesù che l’ha amata come Sposa e per essa ha dato se stesso al fine di santificarla, purificandola col lavacro dell’Acqua e della Parola, per farsela comparire innanzi, questa Chiesa, risplendente di gloria, senza macchia né ruga o altro di simile, perché sia santa e irreprensibile” (Ef 5, 24s).
Ex Corde scisso Ecclesia, Cristo iugata, nascitur: lo abbiamo dimenticato?
Parlando di stabilità, solidità, sicurezza, la Scrittura indica il modello più alto in Dio, usando queste espressioni: Tu, o Dio, rimani in eterno (Sal 101, 13); Dio solo è il Giusto, l'Onnipotente ed Eterno (Mc 1, 25); La sua fedeltà rimane in eterno (Sal 116, 2); Eterna è la sua misericordia (Sal 102, 17); oppure espressioni equivalenti attinte dalla considerazione delle sue opere: Con la sua parola Dio ha reso stabile il cielo (Sal 32, 6); Ti amo, Signore, mia roccia di rifugio e mio baluardo (Sal 17, 1s).
Tutto quello che Dio fa, rimane stabile, acquista consistenza incrollabile, come il firmamento (=ciò che rimane fermo, saldo, irremovibile), la terra, il regno di Davide, il regno di Gesù, la Chiesa fondata su Pietro, i credenti che si affidano a Lui. Per dare credibilità alla sua parola, Dio giura per se stesso (Gn 22, 16), non essendoci altro riferimento più stabile della sua divinità.
Tutto il resto è instabile, precario, si logora come un vestito (Sal 101, 27). Tutto passa, Dio solo resta, ma chi aderisce al Signore, fa un solo spirito con Lui (1 Cor 6, 17), ossia acquista la sua consistenza, la sua irremovibilità. Questa consistenza ci è data dunque dall'adesione a Dio, alla sua parola: ci è data dalla Fede.
Alla Fede ci richiama l'Apostolo, per non essere come bambini sballottati e portati qua e là da ogni vento di dottrina tra i raggiri degli uomini e la loro scaltrezza a inoculare l'errore; ci esorta ad operare secondo verità (Ef 4, 14s).
Oltre che sulla fedeltà di Dio la nostra fede si fonda sulla sua onnipotenza. Nulla è impossibile a Dio. La sua onnipotenza è in sé infinita, ma viene limitata dalla nostra fede. Gesù ci insegna: "Se eveste fede come un granellino di senape, potreste dire a questo monte 'Spostati di qua a là', ed esso si sposterebbe, e nulla vi sarà impossibile (Mt 17, !9; v. anche Lc 17, 6).
La prima e più grandiosa manifestazione dell'onnipotenza di Dio sta nella Creazione, e ancor più nella Redenzione. A Isaia, impressionato della decadenza dell'uomo, sembrò di chiedere l'impossibile gridando a Dio: "Oh, se squarciassi i cieli e discendessi!" (Is 64, 1). Ma Dio gli rispose con la profezia "La vergine concepirà e darà alla luce un figlio e gli porrà il nome Emmanuele" (="Dio con noi": Is 7, 14), promettendo l'Incarnazione del Figlio suo.
Che Dio si faccia uomo e muoia in croce è cosa talmente al di sopra dei nostri intendimenti, che possiamo credere solo al pensiero che Dio è Amore (1 Gv 4, 8). Giustamente la Chiesa esalta Dio che ha creato il mondo in modo mirabile, e lo ha redento in modo ancor più mirabile (Offertorio preconc.). E l'Apostolo trae la riflessione logica: "Se Dio ci ha dato il suo Figlio, come non ci darà ogni altro dono insieme con Lui?" (Rm 8, 32).
La prima Fede che sposta le montagne è credere nell'Amore, è la certezza che Dio ci ama: "Noi abbiamo creduto nell'Amore" (1 Gv 4, 16). Allah che vuole la guerra santa non è amore, non è Dio, ma un demonio; il vero paradosso divino si verifica quando il sacerdote alza la fragile Ostia che contiene Colui che sostiene le sconfinate galassie!
Fede contemplativa
In un certo senso l'intera natura vive di fede, affidandosi inconsciamente al disegno di Dio che non muta. La sua inconcussa stabilità ci consente di contare sulla solidità della terra per camminare senza timori, sulla legge di gravità per costruire case e tenere le cose in ordine , sulle frequenze ondulatorie per trasmettere messaggi a distanza. Noi viviamo sulla solidità delle creature di Dio.
La Scrittura allude continuamente ai fatti naturali per insegnarci le cose spirituali, anzi possiamo dire che tutto il linguaggio spirituale si snoda sulle nostre esperienze naturali, come quando diciamo "camminare nelle vie del Signore, ascoltare la parola di Dio, Dio è la roccia che ci salva, Dio è luce, ecc.".
Dio però interviene nella storia per informarci di ciò che la natura non ci dice, e ci rivela un mondo superiore, il mondo invisibile in cui Egli vive e che ci riserva come approdo dell'esistenza. Ci rivela la Trinità delle Persone nell'unità della natura divina, l'esistenza di creature angeliche, l'Incarnazione del Verbo, la Redenzione, la presenza reale di Gesù nell'Eucaristia, l'elevazione alla grazia, l'attendibilità delle Scritture, il Paradiso e l'inferno. Contemplando con la mente e aderendo con la volontà alla sua Rivelazione noi abbiamo una guida sicura verso la verità tutta intera promessa da Gesù mediante il suo Spirito (Gv 16, 12s). Gesù solo può dirci: "Io sono la luce del mondo: chi segue me non camminerà nelle tenebre, ma avrà la luce della vita" (Gv 8, 12).
Contemplando le verità rivelate, siamo elevati a vivere nel mondo in cui vive Dio stesso: ecco la ricchezza e la bellezza della fede contemplativa. Essa dilata i nostri orizzonti conoscitivi, ci apre al mondo di Dio, ci fa vedere al di là delle cose di questo mondo, dilata i nostri orizzonti conoscitivi verso la verità tutta intera.
Noi viviamo in un mondo profondamente inquinato dal peccato e dall'errore, un mondo smarrito, fuori della verità. Si rifletta sulle falsità con cui le masse sono state sedotte dal comunismo, dal nazismo, dall'Islam. dalle più assurde ideologie! Abbiamo bisogno di disintossicarci da questa atmosfera di falsità che ci circonda, di vedere come stanno le cose in realtà. La fede ci fa vedere le cose come le vede Dio stesso, come Lui le giudica; ci porta a penetrare la realtà con l'intelletto divino, a giudicare tutto con la sapienza divina.
La fede contemplativa si nutre di ciò che Dio ci rivela soprattutto mediante l'Incarnazione del Verbo, Parola di Dio che si è fatto Parola dell'Uomo. Nel Vangelo Dio ci ha detto tutto, e abbiamo, nei suoi princìpi, la risposta a tutti i quesiti umani. Per questo il Vangelo dev'essere il nostro Primo Libro. Ci sono sacerdoti che amano commentare la Parola di Dio con le povere parole umane, intrise di errori e di frammenti di verità: Gesù è la Verità, ed è sempre sproporzionato l'interesse che ci fa correre ad ascoltare gli uomini, quando abbiamo la Parola di Dio che è Gesù e il suo Vangelo! Maria si teneva bene a mente tutte queste cose, meditandole nel suo cuore (Lc 2, 19): per questo è per noi scrigno di verità. Maria si è scelta la parte migliore, che non le sarà tolta (Lc 10, 42).
Riflettiamo sul valore del silenzio contemplativo. Uno dei danni peggiori della vita moderna è l'ingombro indotto dalle sollecitazioni mondane, che soffocano il seme di Dio. Ci si alza a radio accesa, si corre trafelati al lavoro, si è assediati dalle persone, dalle preoccupazioni burocratiche, si accende la televisione, si cena guardando il video e ci si addormenta con il televisore acceso. E la preghiera? E il dialogo in famiglia? E la meditazione della Parola di Dio?...
Nell'accostarci al Vangelo dobbiamo tener presente quanto ci ha detto Gesù: "Le mie parole sono spirito e vita" (Gv 8, 63), e quindi si percepiscono come fatti vitali che coinvolgono tutto l'essere. Si accolgono per quella congenialità spirituale che è data da Dio stesso: "Nessuno viene a me se non è inviato dal Padre mio" (Gv 8, 65); congenialità che si ottiene con la purezza di cuore: "Beati i puri di cuore, perché vedranno Dio" (Mt 4, 8). Non si accolgono senza quella libertà di spirito nei confronti altrui, per non essere inceppati dall'orgoglio umano: "Come potrete credere voi, che andate in cerca della gloria gli uni dagli altri e non cercate la gloria che viene dal solo Dio?" (Gv 5, 44).
Le parabole del seme ci insegnano tante cose: seme che cade su terreni diversi (Mt 13, 1s), che si sviluppa nel silenzio (Mc 4, 26s), che cresce come il grano tra la zizzania (Mt 13, 24s), che diventa arbusto forte (Mt 13, 21s).
Gesù esige la sapienza di rinunciare a tutto il resto pur di possedere Lui stesso (parabola della perla preziosa: Mt 13, 44s). Esige costanza: "Se voi rimanete costanti nella mia parola sarete davvero miei discepoli, conoscerete la Verità, e la Verità vi farà liberi" (Gv 8, 31s)
Fede operativa: l'affidamento
La contemplazione ispira l'azione, la purifica, la illumina. Ecco che allora si rivela in pieno l'uomo di fede, e la fede si fa affidamento.
Affidamento è fidarsi di Dio a occhi chiusi e lasciarsi portare da Lui come un bimbo tra le braccia della madre. E' dargli carta bianca sulla nostra vita, sapendo fin dall'inizio che Dio scriverà nella nostra esistenza cose nuove e imprevedibili: non si tratta di fare un contratto su cose note, ma di prevedere che la vita si svolgerà con continue nascite successive ritmate dalla sua Provvidenza, sicuri che la sua vista trascende la nostra come il Cielo supera la terra (Is 55, 8), che Lui sa le nostre condizioni del momento e anche del futuro, sa dove vuole portarci e non può che portarci al meglio. Dio mi conosce e mi chiama per nome, dice il grande Newman.
L'Apostolo ci insegna un pricipio fondamentale nella vita di fede: "Lo Spirito viene in aiuto alla nostra debolezza, poiché noi non sappiamo che cosa dobbiamo chiedere come conviene; ma lo stesso Spirito lo implora per noi con gemiti inesprimibili; e Colui che scruta i cuori sa quale sia l'anelito dello Spirito, sa che Esso prega per i santi come Dio vuole. Ora noi sappiamo che in tutte le cose Dio coopera per il loro bene con coloro che lo amano, che secondo i suoi disegni sono chiamati, poiché coloro che Egli ha distinti nella sua prescienza, li ha anche predestinati ad essere conformi all'immagine del suo Figlio, affinché Egli sia il primogenito tra i molti fratelli; e quelli che ha predestinati li ha pure chiamati, e li ha anche giustificati, e quelli che ha giustificati li ha anche glorificati" (Rm 8, 26s).
Lo Spirito Santo trascende la nostra visione. Un bambino non è in grado di vedere ciò che diventerà e che gli sarà necessario quando sarà adulto, ma lo Spirito Santo sa dove vuole arrivare, e orienta con aneliti inesprimibili, ossia ignoti al bimbo e avvolti nel mistero, le sue aspirazioni con la sua supercomprensione della realtà del fanciullo. Occorre che noi ci mettiamo in pieno affidamento al suo disegno, senza opporre resistenze, con la sicurezza che Dio vede e provvede, e che tutto dispone per il nostro meglio, che è la configurazione con Cristo. Infatti tutto è creato in Lui e in vista di Lui, e tutto ha consistenza in Lui (Col 1, 16s). Essere conformi a Cristo è il massimo della perfezione raggiungibile in terra e il massimo della gloria in Cielo. E' un programma gratificante, ricco di entusiasmo, nelle condizioni normali.
Di fronte a situazioni difficili. don Ruotolo invita ad affidare a Dio la soluzione dei nostri problemi con il motto: "Cuore di Gesù, pensaci tu!", e molte situazioni si risolvono per vie impensate, a volte miracolose.
Ma possiamo trovarci in vicoli chiusi senza via di uscita: un intervento chirurgico, un incidente grave, la morte: è Gesù in noi inchiodato sulla Croce! Non resta che dire: "Mio Dio, mi fido di Te! Nelle tue mani affido il mio spirito". Santa Cateria da Siena, caduta nelle mani dei nemici, disse loro: "Ora fate di me ciò che Dio vuole": torture, prigionia, uccisione? Sarà Dio stesso a guidare gli avvenimenti, e a noi non resta che piegare il capo e dire con fede ferma: "Sia fatta la tua volontà". Non ci sono compromessi possibili, in certe situazioni: pensiamo ai martiri di fronte ai tribunali: non è possibile fare i furbi, però: "Non temete coloro che possono uccidere il corpo; temete piuttosto colui che anima e corpo può mandare in perdizione nella Geenna" (Mt 10, 28s). "In quel momento lo Spirito del Padre parlerà in voi..." (Mt 10, 20s).
Allora "il vostro dire sia sì sì, no no". "Configurati morti eius" conclude l'Apostolo alla scuola di Gesù, che ci ha detto chiaramente: "Chi non porta la sua croce, chi non rinuncia alla sua stessa vita per me, non può essere mio discepolo" (Mt 10, 37 e parr.), e ci parla del grano che se non muore non porta frutto (Gv 12, 25), dandoci l'esempio di se stesso sulla croce: "Tutto è compiuto: nelle tue mani affido il mio spirito". L'affidamento elimina ogni paura.
Dio ha molti obiettori di coscienza, che dicono "Ma perché questo, perché quello... Se io fossi al posto di Dio, in un attimo il mondo sarebbe cambiato". Essi dimenticano che la nostra intelligenza è una scintilla, un lucignolo fumigante, di fronte al sole dell'intelligenza divina. Dire frasi simili è bestemmia: è preferire la nostra visione a quella di Dio.
Fede e miracoli
Spostare le montagne vuol dire anche fare l'impossibile, fare miracoli. Gesù ha dato il potere agli Apostoli di fare miracoli, e lo ha dato anche ai suoi discepoli di tutti i tempi: "E questi miracoli accompagneranno i credenti: nel mio nome scacceranno i demoni, parleranno lingue nuove, prenderanno serpenti, e se berranno qualche veleno mortifero non nuocerà loro; imporranno le mani su ammalati, ed essi guariranno..." (Mc 16, 15s).
La storia della Chiesa e le vite dei santi sono piene di miracoli, che a Lourdes vengono sottoposti al controllo di scienziati anche atei. Essi confermano le promesse di Cristo. Ma occorre tener presenti alcuni princìpi.
- Il potere di far miracoli è un carisma concesso da Dio a chi Lui vuole: non si può presumere di far miracoli per potere personale, quindi la pretesa di avere tale carisma mediante l'imposizione delle mani come avviene negli incontri di Rinnovamento è peccaminosa e illusoria (il movimento di Rinnovamento è inquinato da tre errori: l'imposizione delle mani avviene per via iniziatica legata al Pentecostalismo, di origine anglicana, quindi legata alla ribellione di Enrico VIII; c'è la pretesa di ottenere carismi straordinari mediante l'imposizione delle mani; c'è enfatizzazione esteriore della preghiera);
- è frutto di fede solida, ma può anche avvenire su influsso di Satana, come in Sai Baba;
- se non si fonda sull'umiltà, non esime dal rischio di perdizione, come dice Gesù: "Molti diranno: 'Signore, Signore, non abbiamo noi nel tuo nome profetato, e nel nome tuo scacciato i demoni, e operato nel tuo nome molti miracoli?'. Allora io dichiarerò pubblicamente: 'Io non vi ho conosciuti: via da me voi operatori di iniquità!' " (Mt 7, 21s).
Occorre tuttavia ricordare il comando di Gesù rivolto particolarmente ai sacerdoti: "Nel mio nome sanate infermi, risuscitate morti, mondate lebbrosi, scacciate i demoni..." (Mt 10, 8s ). Se si ha fede, si ottiene. Il nostro aiuto è nel nome del Signore, che ha fatto Cielo e terra (Sal 123, 8). Non nelle nostre forze, sia ben chiaro. Pietro era sincero quando disse a Gesù: "Ti seguirò fino alla morte" (v. Mt 26, 35 e Parr.), ma non aveva ancora sperimentato a sue spese ciò che aveva detto Gesù: "Senza di me non potete far nulla" (Gv 15, 8). La fede comporta il trasferimento della nostra sicurezza in Dio: "Tutto posso in Colui che mi dà forza" (Fp 4, 13).
E anche: "Vegliate e pregate pere non cadere in tentazione" (Mt 26,).
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