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Il "dialogo" ossessione postconciliare
Di Admin (del 01/09/2010 @ 14:22:38, in Padre Vittorio 2010, linkato 1720 volte)

L’attuale momento ecclesiale è infestato da una parola che diventa sempre più ossessiva: la parola Dialogo. Entra in tutte le salse postconciliari veicolata da prediche, riviste, proclami, rinnovamenti istituzionali come ultima scoperta dei rapporti con chiese, religioni, istituzioni. Ma corrisponde davvero al pensiero di Gesù nei confronti di coloro che non sono ancora entrati nel Regno di Dio? Oppure nasconde un senso di confusione, di appiattimento del messaggio evangelico, di smarrimento nel clima di inammissibile ecumenismo che ritiene vie di salvezza tutte le religioni come agli incontri di Assisi?

Che ne pensa Gesù nel Vangelo?

“Predicate il Vangelo”

L’Evangelista Marco conclude il Vangelo con la missione trasmessa da Gesù agli Apostoli con questo comando: “Andate per tutto il mondo e predicate il Vangelo ad ogni creatura. Chi crede e si fa battezzare sarà salvo, chi non crede sarà condannato” (Mc 16, 15s).

Il comando di Gesù è tradotto in greco con il verbo keruzate, che deriva dal termine kerux, il banditore inviato dal re ad annunciare il suo arrivo o i suoi decreti. Quindi keruzate assomma il senso di convocate, bandite, proclamate, annunziate ad alta voce in modo che tutti sentano. Il Vangelo è kerigma, Annunzio: Lieto Annunzio.

Lo ribadisce Gesù stesso in un altro passo notevole: “Ciò che Io vi dico nelle tenebre, voi ditelo in piena luce, e ciò che vi si dice all’orecchio, predicatelo sopra i tetti” (Mt 10, 27; v. anche Lc 12, 2).

Il dialogo non si addice alla Parola di Dio: ne sminuirebbe l’origine divina, l’assolutezza, l’incontrastabilità. Dio non si mette sullo stesso piano dell’uomo a discutere sulla verità: la Verità è Lui stesso (v. Gv 14, 6), e l’uomo decaduto non è capace di sicurezza nella verità. Esiste un pronunciamento del Magistero caduto in dimenticanza che dice: “Si deve attribuire alla Rivelazione che nelle cose divine ciò che per sé non è impervio alla ragione umana, nell’attuale condizione del genere umano possa essere conosciuto con facilità, ferma sicurezza e senza mescolanza di errori” (Vaticano I, Dz 1786). In parole semplici, la Rivelazione divina è indispensabile per conoscere la Verità.

L’uomo non può competere con Dio mediante un dialogo chiarificatore. Può soltanto inginocchiarsi in ascolto di ciò che lo Spirito dice alle Chiese (Ap 2, 7).

La proclamazione del Vangelo ha un’efficacia garantita dalla grazia di Dio che dispone ad accoglierla, e Gesù manifesta la sua gioia nel vederla accolta dagli umili: “Gesù esultò con allegrezza per virtù dello Spirito Santo e disse: ‘Io Ti lodo e Ti ringrazio, o Padre, Signore del Cielo e della terra, che hai tenuto nascoste queste cose ai saggi e agli scaltri, e le hai rivelate ai semplici. Sì, o Padre, perché così è piaciuto a Te. Ogni cosa è stata data a Me dal Padre mio, e nessuno conosce il Padre e il Figlio se non il Padre, né chi è il Padre se non il Figlio e colui al quale il Figlio voglia rivelarlo’” (Lc 10, 21s). Parole misteriose che confermano la forza del Vangelo, la sua origine celeste, la necessità della grazia per accoglierlo.

Non dialogo, ma annunzio

Il dialogo può avere un valore interlocutorio, di chiarimento e di reciproca conoscenza, quindi non è da escludersi per principio. Può disporre all’accoglienza del Vangelo. E’ preevangelizzazione.

Il dialogo è comunicazione, ma non comporta per sé un cambiamento degli interlocutori. Si conosce il pensiero altrui, ma non necessariamente lo si condivide.

L’annuncio evangelico invece esprime un intervento di Dio che esige di essere accettato e mira al cambiamento di mente, o metànoia: metanoeite, cambiate mente, cambiate costumi, convertitevi. E’ la prima esortazione del Battista (Mt 3, 2) e di Gesù stesso (Mt 4, 17).

Ad Atene l’Apostolo Paolo imposta il suo discorso a dialogo, diremmo culturale, e ricorda come gli ateniesi hanno un altare al Dio Ignoto, che potrebbe bene adattarsi al Dio del Vangelo, ma la reazione è deludente: “Udendo parlare di risurrezione dei morti, alcuni si misero a beffarlo, e altri dissero: ‘Su questo ti udremo un’altra volta’”. Paolo si ritirò, ma alcuni si unirono a lui e credettero, come Dionigi l’Areopagita, Damaride e qualche altro (At 17, 15s).

Paolo comprese chiaramente come le conversioni non erano frutto di sublimità di eloquio, ma della grazia di Dio, che salva i credenti mediante “la stoltezza della predicazione”: “Noi predichiamo Cristo Crocifisso, che è uno scandalo per i giudei, una stoltezza per i pagani, ma per quelli che da Dio sono chiamati…è potenza di Dio e sapienza di Dio” (si rilegga il magnifico brano di 1 Cor 1, 18s).

Gesù stesso, che è venuto come segno di contraddizione (Lc 2, 24s), spartiacque tra il bene e il male, si imbatte continuamente tra chi lo accetta e chi lo rifiuta. Il Vangelo di Giovanni è particolarmente sensibile a questo aspetto, che ha momenti acuti nella proposta del Pane di Vita a Cafarnao e soprattutto nella Passione. Ricordiamo: “Gli uni dicevano ‘E’ uomo dabbene’; gli altri replicavano: ‘No, anzi travia la gente’” ( Gv 7, 12s; v. anche Gv 2, 23s; 4, 39s; 5, 16s; 6, 26s, 59s; ecc.).

Di fronte a queste eventualità, Gesù non deflette, ma ribadisce le sue parole. Non vuole compromessi, rifiuta gli equivoci: “Il vostro dire sia sì sì, no no: il di più è dal maligno”(Mt 5, 37). A Cafarnao, osservando i molti discepoli che Gli voltano le spalle, provoca gli stessi Apostoli: “Volete andarvene anche voi?” (Gv 6, 67 ).

Il Vangelo storicizzato

Il dialogo nasconde un altro enorme guaio del clima attuale: storicizza il Vangelo, lo relativizza, lo considera come probabilità, affida le espressioni evangeliche al libero esame.

Si dilata un’aperta dissidenza proprio all’interno della Chiesa, e lo si vede nel decadimento teologico dei nostri giorni, che tutto rimette in discussione, come se il Signore non avesse assicurato: “Cielo e terra passeranno, ma le mie parole non passeranno” (Mt 24, 35).

Molti esegeti, roditori della scorza evangelica, si sono affannati a disconnettere i Vangeli nella loro scorza storica, senza capire che la scorza dei Vangeli, ossia ciò che l’esegesi si sforza di analizzare sul piano storico, ha una garanzia nel suo midollo, che è il contenuto evidentemente soprannaturale. Il postconcilio vive un clima plagiano: ha dimenticato il trattato De Gratia!

Nel Vangelo Gesù ha consegnato alla sua Chiesa la sua Parola di Vita (“Le mie parole sono Spirito e Vita:Gv 6, 64). “Nel suo Vangelo - ripete la Vergine a Medjugorje – Gesù vi ha detto tutto!”. L’unità, la santità, la bellezza unica della Rivelazione consegnata da Gesù alla Chiesa è garanzia della sua origine dall’Alto. Non esiste nulla di simile sull’orizzonte umano.

Quindi le espressioni evangeliche vanno prese alla lettera. Nel linguaggio essenziale, accessibile anche ai più sprovveduti e al tempo stesso sfida agli intelletti più elevati, dobbiamo cogliere il disegno unitario di Dio per la nostra Redenzione.

Il detto tradizionale “E’ Vangelo” faceva intendere la sua infallibilità di fronte alle false affermazioni del mondo, ma oggi è ancora così? Eppure esiste sotto il cielo altro nome dato agli uomini per il quale possiamo essere salvi? (At 4, 12).

Il Vangelo non è un’accozzaglia di detti alla maniera del Talmud o del Corano: è un diamante indivisibile di verità divina.

“Scuotete la polvere dai piedi…”

La proclamazione del Vangelo è esposta al rischio del rifiuto, come avvenne a Cafarnao e in altri episodi della predicazione di Gesù. Ma il Divino Maestro ne ha spiegato la ragione: “E’ lo Spirito che vivifica, la carne non giova a nulla… Nessuno può venire a Me se non gli è dato dal Padre” (Gv 6, 63s), e anche “Nessuno va al Padre se non per Me. Le mie parole sono Spirito e Vita” (Lc 10, 21s).

La Parola di Gesù è legata a una sanzione terribile: “Chi non crederà sarà condannato”. Non è un richiamo che si possa trascurare impunemente: ha tutto il peso di Parola di Dio ineludibile. Una Chiesa che dubita sullo scrigno di verità salvifica che le è stata consegnata dall’alto della Croce, e che con un ecumenismo deviato viene a patti con gli errori enormi professati da religioni pagane e da chiese dissidenti, perde ogni potere conversivo e diventa sinagoga di Satana.

Gesù stesso ci offre un insegnamento sul modo di comportarci di fronte a chi non crede. Egli disse agli Apostoli: “Se qualcuno non ascolta le vostre parole, nell’uscire da quella casa o da quella città scuotete la polvere dai vostri piedi. In verità vi dico che nel giorno del giudizio Sodoma e Gomorra avranno sorte più tollerabile che quella città” (Mt 10, 14s; v. anche Mc 6, 1s; Lc 9, 5; 10, 11; At 13, 51).

Questa terribile minaccia ci fa intendere come l’annunzio del Vangelo è dotato di una grazia che è sacrilego respingere.

Quindi non perdiamo tempo a dialogare, alla maniera dei Testimoni di Geova: se non ci ascoltano, facciamo come gli Apostoli che si rivolgevano ad altri. Nella parabola del banchetto regale Gesù insegna che se i grandi non rispondono all’invito, dobbiamo rivolgerci ai poveri e sprovveduti che attendono lungo le siepi dello smarrimento e dell’emarginazione.

Occorre quindi tornare alla purezza della predicazione evangelica.

Il movimento di Assisi è una deviazione enorme dal Vangelo: si snoda sotto il segno massonico dell’apostasia, è seduzione di Satana, anche se per un incomprensibile accecamento teologico si fregia della protezione di guide della Chiesa. L’ecumenismo di Assisi nel suo spensierato buonismo non tiene conto dell’origine e dell’indole satanica delle deviazioni religiose quale appare dai loro frutti. Mai la storia della Chiesa si è macchiata di tanto smarrimento, che assume oggi dimensioni universali.