Dopo aver assistito alla Messa di Padre Pio, un sacerdote disse: “Io non ho sentito alcun profumo, non ho avuto rivelazioni, non mi sono accorto che egli conoscesse i segreti della mia anima. Ma ho assistito alla sua Messa, e quella Messa io non la dimenticherò mai”.
A un amico che esprimeva meraviglia nel vederlo piangere durante la Messa, Padre Pio rispose:“Che cosa sono quelle poche lacrime di fronte a ciò che avviene sull’altare? Torrenti di lacrime ci vorrebbero!”.
Un suo figlio spirituale gli chiese: “Padre, come dobbiamo partecipare alla Messa?”. Rispose: “Come la Madonna, san Giovanni e le pie Donne sul Calvario, amando e compatendo”.
E a un altro:“Nell’assistere alla Messa incentra tutto te stesso nel tremendo mistero che si sta svolgendo sotto i tuoi occhi: la Redenzione della tua anima e la riconciliazione con Dio”.
Gli fu detto: “Padre, quanto le tocca soffrire nello stare per tutta la Messa in piedi, poggiando sulle piaghe sanguinanti dei piedi!”. E il Padre rispose:“Durante la Messa non sto in pedi: sto appeso”. Con Gesù sulla Croce, crocifisso con Lui!
Chi ha assistito alla Messa di Padre Pio ricorda quelle sue lacrime brucianti, quella sua imperiosa richiesta ai presenti di seguire la Messa in ginocchio. Ricorda il silenzio impressionante che avvolgeva il sacro rito e la sofferenza crudele che si sprigionava dal volto del Padre quando sillabava a strappi violenti le parole della Consacrazione, mentre i presenti lo seguivano in silenzio per più di un’ora.
A volte stentava visibilmente a toccare l’Eucaristia perché se ne riteneva indegno.
Il fratello di San Giuseppe Cottolengo espresse la sua meraviglia che il santo piangesse di commozione celebrando la Messa. La mamma gli disse: Lascia pure che pianga: lui sa il perché. All’altare si piange bene”.
Alla Messa si preparava con ore di preghiera e non consentiva che lo si disturbasse prima o dopo la celebrazione. Diceva: “Prima Dio, poi il resto”. Gli capitò anche con la marchesa Faustina, dama di corte venuta a parlargli in nome del re. Mostrandosi infastidita per l’attesa, il Santo se ne scusò dicendole che era in udienza presso la Maestà di Dio.
A tutti, insegnanti, infermiere, medici, genitori raccomandava la Messa quotidiana, e a chi diceva di non aver tempo, rispondeva: “Cattiva economia, cattiva economia di tempo!”. Quanto a se stesso diceva:”Se la Chiesa permettesse di celebrare dieci Messe al giorno, vorrei celebrarle tanto volentieri senza lasciarne una sola”.
Arrivava fino a dire: “Le ostie per me fatele grosse, perché ho bisogno di trattenermi a lungo con Gesù e non vorrei che le sacre Specie si consumassero troppo presto”.
A san Giuseppe da Copertino il superiore chiese come mai inceppasse nel pronunciare le parole della consacrazione, e il santo rispose: “Le parole santissime della Consacrazione sono sulle mie labbra come carboni ardenti. Pronunciandole devo fare come chi deve ingoiare cibi bollenti”. E avrebbe desiderato avere mani riservate solo a toccare l’Eucaristia.
Nel suo diario sant’Ignazio di Loyola annota spesso le lacrime da lui sparse durante la celebrazione della Messa. “Ogni mattina, nonostante i molti impegni, premetteva un tempo di preparazione alla celebrazione dell’Eucaristia, alla quale seguivano abitualmente due ore di orazione durante le quali non voleva essere disturbato. La celebrazione eucaristica costituiva il centro della sua orazione, era il tempo privilegiato per le sue più intime comunicazioni con Dio, spesso accompagnate da doni mistici. All’Eucaristia portava le sue intenzioni e preoccupazioni, che non mancavano nel governo della Compagnia, e in essa riceveva illuminazioni e ispirazioni che lo guidavano al fedele compimento dei disegni divini” (Giovanni Paolo II, 31.7.90).
San Francesco di Assisi ascoltava abitualmente due Messe, e le lacrime da lui versate a volte diventavano sanguigne. Diceva: “L’uomo deve tremare, il mondo deve fremere, il Cielo intero deve commuoversi quando sull’altare tra le mani del sacerdote appare il Figlio di Dio”.
San Tommaso di Aquino dopo la sua Messa ne serviva un’altra in ringraziamento. Sono suoi i meravigliosi inni per la festa del Corpus Domini.
San Luigi IX, re di Francia, ascoltava ogni giorno diverse Messe. A quel ministro che lo voleva più dedito agli affari del regno, il santo rispose: “Se impiegassi doppio tempo nei divertimenti o nella caccia, nessuno ne avrebbe da ridire!”. Ascoltava la Messa in ginocchio sul nudo pavimento, e quando gli fu presentato un inginocchiatoio, disse: “Nella Messa Dio si immola, e quando Dio si immola, anche i re si inginocchiano sul pavimento.
Altri rilievi si potrebbero fare ricordando il rispetto dei Santi per i frammenti eucaristici, così scandalosamente trascurati non solo nelle Messe dei neocatcumenali. Essendogli caduta inavvertitamente una particola, san Carlo Borromeo per quattro giorni non ebbe il coraggio di celebrare la Messa e si impose la penitenza di otto giorni di digiuno.
Santa Teresa d’Avila dopo la Messa vide un frammento di Ostia sulla patena. Chiamò allora le novizie, e in processione portò in sacrestia la patena con somma venerazione. Esagerazione di Santi? No, ma senso di proporzione di fronte alla divina Presenza.
Occorrerebbe rileggere le vite dei Santi, come Filippo Neri, Lorenzo da Brindisi, Veronica Giuliani, Giuseppe da Copertino, Alfonso de Liguori, Gemma Galgani e tanti altri per conoscere la loro sentita e spesso sofferta partecipazione al mistero della Croce.
“Come rimanere indifferenti di fronte alla crocifissione di Gesù? Non saremo come gli Apostoli addormentati nel Getsemani, o peggio come i soldati che ai piedi della Croce giocavano a dadi, incuranti degli spasimi atroci di Gesù morente? Eppure questa è l’impressione angosciosa che si prova oggi assistendo alle Messe celebrate al ritmo delle chitarre e delle tarantole, con donne in abiti sconci e giovani dalle fogge più stravaganti?” (P. Stefano Manelli). E peggio ancora
La Messa è anzitutto Sacrificio
Al di là delle aberrazioni avvenute in questi anni, rimane una riforma liturgica infetta di progressismo e superficialità elaborata in fucine progressiste ben lontane dalla luce donata alla Chiesa dalla tradizione di mistici e santi che ben percepivano il valore redentivo della Messa.
Il cardinal Ratzinger denunzia una diffusa riluttanza di teologi anche cattolici ad affermare il valore sacrificale della Messa, per accentuarne l’aspetto conviviale, riducendola a cena alla maniera protestante. Tale deformazione va contro le chiare indicazioni della Scrittura, le parole di Gesù nell’istituzione eucaristica, la tradizione perenne della Chiesa e l’atteggiamento dei Santi. Occorre approfondire il senso del Sacrificio.
“Sacrificium” è “sacrum facere”, rendere sacro, consacrare.
I sacrifici, anche pagani, si ispirano più o meno consapevolmente all’idea che l’oggetto offerto in sacrificio entra nella sfera inviolabile del sacro. Mediante il Sacrificio della Croce Cristo“entra nel Santuario una volta per tutte” (Eb 9, 11s), entra nella Luce inaccessibile di Dio offrendo se stesso al Padre come vittima senza macchia che si sostituisce a tutte le vittime offerte a Dio dagli uomini, sia nell’Antica Alleanza che nella Nuova: il suo è il Sangue della Nuova Alleanza.
Il senso della sua offerta è espresso da Gesù stesso entrando nel mondo con queste parole rivolte al Padre: “Tu non volesti sacrifici e oblazioni, ma mi hai foggiato un corpo; non volesti olocausti né vittime espiatorie. Allora dissi: ‘Eccomi, o Dio, come è scritto per Me, a fare il tuo volere”. E’ un “volere per il quale noi siamo santificati mediante l’oblazione del Corpo di Gesù Cristo una volta per sempre… Il nostro Sacerdote ha offerto in perpetuo un solo Sacrificio per i peccati e si è assiso alla destra di Dio, e con un’unica oblazione ha reso perfetti per sempre coloro che vengono santificati” (Eb 10, 5s).
Questa “consacrazione” è espressa dunque da Gesù nel “fare il volere del Padre”:”Mio cibo è fare la volontà di colui che mi ha mandato e compiere l’opera sua” (Gv 4, 34).
Il Sacrificium si attua dunque in una configurazione di Amore del Figlio per il Padre in forza dello Spirito che fa del Padre e del Figlio una cosa sola. Il fondo del Sacrificio è quindi l’Amore, che consacra nella verità.
Il Sacrificio di Gesù Cristo ci rende sacri configurandoci con Gesù nel suo Amore per il Padre. Quindi il Sacrificio Eucaristico, che perenna il Sacrificio della Croce, è essenzialmente Comunione di Amore di Gesù con il Padre, comunione nostra di amore con Gesù. La Comunione è il compimento del Sacrificio.
Il Sacrificio della Croce e il Sacrificio Eucaristico che lo attualizza hanno per noi un valore redentivo: il significato profondo della Messa è la Redenzione operata da Gesù sulla Croce: lo ha detto Lui stesso nell’atto di istituire il Sacrificio Eucaristico: “Questo è il mio Corpo, dato per voi… Questo Calice è la Nuova Alleanza nel mio Sangue: fate questo, tutte le volte che lo berrete, in memoria di Me”. ” Quindi - commenta l’Apostolo - ogni volta che voi mangiate di questo Pane e bevete di questo Calice, voi annunziate la morte del Signore fino a che Egli venga” (1 Cor11, 23s e parr.).
Da Sacro Convito a comunità secolarizzata
Spostando la prospettiva verso una concezione conviviale della Messa incentrata nella comunità, ossia oscurando il valore sacrificale della Messa a vantaggio dell’aspetto conviviale, la corrente liturgica modernista cade inevitabilmente nell’alterazione dello stesso valore conviviale dell’istituzione eucaristica, ossia dell’indole essenzialmente redentiva del Sacro Convito: da Comunione di Redenti radunati per alimentarsi del Corpo e del Sangue di Cristo e trasformarsi in Colui che mangiamo (LG 26) l’assemblea decade in riunione umanitaria, un incontro di amici per interessi terreni.
A questo punto rileviamo un altro increscioso smarrimento di certa teologia attuale: ossia l’esortazione a non fare nella celebrazione eucaristica moralismo o dell’ethos, come allude Ratzinger.
Decadimento della spiritualità
Questa “messa in guardia” dal moralismo appare in una lettera per il Congresso Eucaristico di Milano. Ci si chiede che senso abbia tale esclusione: non è forse istituita l’Eucaristia per santificarci nella Verità, come ha pregato Gesù nell’orazione sacerdotale? Che senso dare alle parole di Gesù: “Come il Padre, il Vivente ha mandato me, e io vivo per il Padre così chi mangia di me vivrà per me” (Gv 6,57)? Come dissociare l’Eucarista dalla configurazione spirituale e morale con Gesù Amore, dalla metanoia o conversione che anima l’intero Vangelo? Dimenticando l’aspetto conversivo, di configurazione spirituale con Cristo, si può ancora parlare di Eucaristia? O si vuole ridurre la Comunione a un fatto puramente fisiologico o simbolico?
Vivere per Gesù significa vivere nella sua grazia, vivere senza peccato, rinunciare a se stessi e portare la croce, vivere moralmente puri come esige il Vangelo.
S. Giovanni Crisostomo esortava: “Come potremmo noi fare dei nostri corpi un’ostia? I vostri occhi non guardino nulla di cattivo, e avrete offerto un sacrificio; la vostra lingua non proferisca parole sconvenienti, e avrete fatto un’offerta; la vostra mano non commetta peccato, e avrete compiuto un olocausto”. Senza trasformazione morale la Comunione è vana.
Col consueto acume teologico il grande Agostino insegna che “il Sacrificio Eucaristico ha come scopo che tutta la città redenta, ossia la riunione e la comunità dei santi, si offra a Dio come sacrificio universale per mezzo del Grande Sacerdote, il quale ha offerto se stesso per noi con la sua passione per farci diventare corpo di così eccelso Capo” (PO 2). L’offerta non è tanto materiale quanto spirituale, di conformità con Cristo e con Dio.
Il dissolvimento graduale
La carenza di profondità nell’intuire le implicanze del Sacrificio ha indotto le Messe spettacolo, svuotamento dell’efficacia redentiva ed esaltazione dell’esteriorità. Il profano rimpiazza il sacro fino alle forme più dissacranti, come nelle new look Masses con ragazze in calzamaglia, o nelle clown Masses celebrate perfino poco fa da Salesiani, nelle Messe con musiche e danze mondane!
I Santi non hanno fatto questione di spettacolarità liturgica. Pio XII nell’enciclica Mediator Dei ci ha indicato lo spirito con cui si deve partecipare alla Messa: mediante una configurazione con Cristo in modo che ciascuno possa ripetere le parole di San Paolo: “Sono confitto con Cristo in Croce, e vivo non già io, ma vive in me Cristo”. Sospesi con Gesù sulla Croce, come Padre Pio!
La Messa è fatta di segni, e i segni sono frecce che rimandano ai significati. Il cambiamento dei segni ha anticipato e seguito l’alterazione dei significati eucaristici.
E’ avvenuta una rivoluzione graduale che io stesso ho potuto seguire nel mio istituto religioso, che ha avuto una parte di guida in questa deplorevole vicenda.
Visitando certe nostre case religiose già negli anni settanta mi accorsi che i tabernacoli erano stati emarginati e gli inginocchiatoi erano stati sostituiti da sedie o panche.
Ancor prima che fosse introdotto l’uso della Comunione nelle mani (in seguito a una votazione della CEI nella quale l’esigua maggioranza del sì era stata raggiunta introducendo votanti non vescovi), uno dei superiori ne aveva dato l’ordine, e un mio confratello che si rifiutò di accettare l’abuso fu impedito di celebrare la Messa domenicale nella nostra chiesa.
Un altro superiore, che sbrigava la sua Messa in sette minuti, pretese che si celebrasse senza paramenti con la sola stola, abuso ormai abituale tra i religiosi di altre nazioni.
E’ stata negata la richiesta di celebrare rivolti verso la Croce, e fino all’ultima cappella il tabernacolo è stato emarginato dal centro.A Bergamo e a Schilpario i tabernacoli, a forma di lanterna, sono stati abbassati all'altezza del ginocchio, tanto che una bimba a Schilpario li aprì e due volte consumò le particole consacrate. Tale abbassamento avvenne anche a Gignese, e la presenza eucaristica veniva velata dall'organo o dalle corone di fiori per defunti ecc. Il parroco fu ricoverato per pazzia.
L’ultimo fatto significativo è stata la concelebrazione dei superiori italiani intorno a un dimesso tavolino nello stesso appartamento del Fondatore. E’ il simbolo ben visibile di una linea di condotta, di un deciso orientamento assunto dai superiori verso la “modernizzazione” della Messa a un fatto conviviale avulso dal Sacrificio della Croce. E tutto questo è avvenuto in modo graduale, per evitare traumi, sotto la copertura dell’obbedienza ai superiori! Tanto decadimento liturgico non sarebbe stato possibile se l’elezione di superiori non fosse avvenuta per via di discutibili cooptazioni. E altrettanto è avvenuto tra teologi che si esaltano a vicenda in misura degli errori da essi sostenuti.
Altre implicanze
Si pongono, a questo punto, altri quesiti riguardanti il Sacerdozio, la Vita Consacrata e la stessa Chiesa.
Svuotata la Messa del suo valore sacrificale e ridotta l’assemblea ad adunanza conviviale, che valore rimane al Sacerdozio?
E’ scritto: “Ogni sommo sacerdote, venendo assunto di mezzo agli uomini, a pro degli uomini è costituito nei rapporti con Dio per offrire oblazioni e sacrifici espiatori, sapendo benignamente compatire quelli che peccano per ignoranza o errore, perché anch’egli è soggetto a debolezze, e per esse deve, come per il popolo e così anche per sé, offrire espiazioni” (Eb 5, 1s). Questa funzione sacrificale è interpretata come estesa ad ogni presbitero che celebra il Sacrificio Eucaristico in nome dell’Eterno Sacerdote nella Chiesa. Se decade la funzione espiatoria, all’intero ordine sacerdotale rimane una semplice funzione sociale, umanitaria, che non ha nulla di sacro, di redentivo.
Per conseguenza, che senso rimane a un istituto religioso che si considera sacerdotale? La deduzione è lampante: non ha più ragione di essere, e la stessa vita religiosa decade in assembramento illusorio, anche perché l’Eucaristia perderebbe la sua forza trasformante, di configurazione con Cristo, di santificazione.
Ma essendo tutta la vita della Chiesa incentrata nel Sacerdozio di Cristo e nella sua Presenza Reale, che senso rimarrebbe alla Chiesa se non di istituzione umanitaria?
Hanno riflettuto i responsabili della curva dissolvitrice del senso sacrificale della Messa sulle conseguenze della loro spensieratezza? E non hanno ragione i sudditi di tali istituti di sentirsi traditi dai propri superiori? Per consapevole tradimento a Cristo, alla sua Chiesa, ai loro stessi sudditi, o per semplice mediocrità intellettuale? A Dio il giudizio. Ma perché certi superiori si accaniscono ancora a segare il ramo su cui sono seduti?
Il valore dei segni
I segni oggi parlano chiaro:
i tabernacoli sono stati emarginati: Gesù non è più al centro della chiesa come Presenza da adorare.
Con il decentramento dell’Eucaristia il celebrante si insedia nel centro del presbiterio voltando le spalle alla Croce e facendosi centro della celebrazione rivolta alla comunità: dato che questo è avvenuto per suggestione modernista, quindi atea, ci si chiede se non si verifichi oggi la profezia dell’Apostolo sull’uomo dell’empietà, il figlio della perdizione, l’avversario, che si innalza al di sopra di quanto viene chiamato Dio o è oggetto di venerazione, fino ad assidersi nel tempio di Dio proclamando di essere Dio lui stesso (2 Ts 2, 3s).
La celebrazione assume facilmente un aspetto spettacolare con la coreografia dei canti e delle musiche, o di altre trovate simboliche, come l’erezione della ghigliottina in segno di protesta, come è avvenuto a Monaco di Baviera.
Il darsi la mano prima della Comunione sottolinea la dimensione comunitaria e distoglie dal debito raccoglimento di unione con Gesù presente nell’Eucaristia, che divenuto Uno in tutti è il vero autore dell’unione tra i presenti alla mensa eucaristica;
La Comunione nella mano banalizza la divina Presenza, ed è anche occasione di dispersione delle particole consacrate e di dissacrazioni, perfino satanistiche. L’eccessiva facilità delle Comunioni moltiplica i casi di comunioni sacrileghe per rispetto umano: molti dimenticano il richiamo di Paolo, che “chiunque mangia il Pane e beve il Calice del Signore indegnamente…, mangia e beve la propria condanna” (1 Cor 11, 27s).
Col pretesto di dissolvere quanto fu chiamato intimismo, il dialogo personale con Gesù presente nella Comunione viene disturbato e impedito mediante la riduzione del tempo del ringraziamento, dal segno di pace dato nell’imminenza della Comunione, da ingombri di canti e musiche, dagli avvisi del celebrante rimandati proprio nei pochi minuti del ringraziamento.
Se si abbracciano altri elementi dell’attuale liturgia eucaristica, come l’abolizione degli inginocchiatoi, l’invito a stare seduti alla Comunione e in genere l’allergia al senso della riverenza profonda dovuta alla Presenza Reale, si ha la dimostrazione dell’indole deviante della riforma liturgica postconciliare, e le stesse parole della Consacrazione, rimaste a segnare la centralità del Sacrificio, appaiono quasi fuori contesto celebrativo.
Ben diversi appaiono i segni dei Santi, ben consapevoli di quanto si svolge sull’altare durante il Sacrificio Eucaristico. Se la riforma liturgica fosse stata fatta dai santi non saremmo certo arrivati a questo punto, in cui durante il Sacrificio Eucaristico non si sa più dove sia andato a finire Gesù Crocifisso, oggi sostituito da celebranti che si mettono in primo piano oscurando la Presenza del Sommo ed Eterno Sacerdote che unisce la Chiesa al suo Sacrificio di adorazione del Padre e salvezza dell’umanità.
Si vorranno forse criticare certe imposizioni restrittive del passato per la Comunione Eucaristica: il digiuno da mezzanotte, il riceverla in ginocchio alla balaustra con le mani sotto la tovaglia, il ringraziamento in ginocchio e prolungato. I liturgisti d’oggi con la loro tendenza a facilitare tutto, la loro allergia a esigere sacrifici, hanno certo allungato le file dei comunicanti, ma hanno filtrato l’eventualità di comunioni sacrileghe, di dispersione dei frammenti eucaristici, gli atteggiamenti troppo superficiali riservati al Santo Sacramento? Una più coraggiosa richiesta di mortificazione contro la faciloneria e il permissivismo, ne siamo convinti, ci avrebbe dato un cattolicesimo migliore.
Torniamo ai Santi
Il dono mistico si esprimeva nei Santi con la riverenza di cui abbiamo riportato qualche esempio, e bisognerebbe rivisitare l’intera bibliografia della santità per valutarne la portata. I Santi agivano così perché percepivano il valore del Sacrificio Eucaristico. Ne ricordiamo alcuni pensieri.
S. Agostino: “Dio, essendo onnipotente non poté dare di più, essendo sapientissimo non seppe dare di più, essendo ricchissimo non ebbe da dare di più”. “Negli uomini Cristo non trovò nulla di mondo da potere offrire a vantaggio degli stessi uomini. Allora offrì se stesso come vittima pura, vittima felice, vittima vera, sacrificio immacolato. Non offrì cose che noi gli avevamo dato, o meglio offrì cose prese da noi ma da lui stesso purificate: offrì infatti la carne che aveva presa da noi. E da chi la prese? Dal seno della Vergine Maria. Egli è Re e Sacerdote: rallegriamoci in lui”.
S. Bernardo: “L’Eucaristia è l’Amore che supera tutti gli amori del Cielo e sulla terra” (Amore di Cristo che muore in croce per la salvezza del mondo).
S. Bonaventura: “La Messa è l’opera in cui Dio ci mette sotto gli occhi tutto l’amore che ci ha portato: è la sintesi di tutti i suoi benefici”.
S. Tommaso: “Tanto vale la celebrazione della Messa quanto vale la morte di Gesù in croce”. E ogni mattina dopo la sua Messa ne serviva un’altra in ringraziamento.
S. Filippo Neri: “Con l’orazione noi domandiamo a Dio le grazie, nella santa Messa costringiamo Dio a darcele”.
S.Lorenzo Giustiniani: “Nessuna lingua umana può enumerare i favori dei quali è sorgente il Sacrificio della Messa: il peccatore si riconcilia con Dio, il giusto diventa più giusto, sono cancellate le colpe, annientati i vizi, alimentate le virtù, confuse le insidie diaboliche”.
S. Giovanni Maria Vianney: “Il martirio non è nulla in confronto della Messa, perché il martirio è il sacrificio dell’uomo a Dio, mentre la Messa è il Sacrificio di Dio per l’uomo!”. “Tutte le opere buone riunite insieme non possono valere una Santa Messa, perché esse sono opere degli uomini, mentre la Santa Messa è opera di Dio”.
S. Leonardo da Porto Maurizio: “La Santa Messa è il sole dei cristiani, l’anima della fede, il centro della religione cattolica, dove convergono tutti i riti e tutti i sacramenti. Insomma è il compendio di tutto il buono che si trova nella Chiesa di Dio”.
S. Alfonso: “Dio stesso non può fare che vi sia un’azione più santa e più grande della celebrazione di una Santa Messa”.
S. Pier Giuliano Eymard: “La Messa è l’atto più santo della Religione: tu non potresti far niente di più glorioso a Dio, né di più vantaggioso alla tua anima che di ascoltarla piamente e il più sovente possibile”.
S. Bernardetta a un sacerdote novello: “Ricordati che il Sacerdote sull’altare è sempre Gesù Cristo in croce!”.
S. Teresa di Gesù Bambino: “Nella Messa offriamo a Dio più di quello che riceviamo da Lui”.
Padre Pio: “Se gli uomini comprendessero il valore della Mesa, ci vorrebbero i carabinieri per tenere in ordine le folle di gente nelle chiese”. “La Santa Messa è infinita come Gesù. Chiedete a un Angelo che cosa sia una Messa, ed egli vi risponderà con verità: Capisco che cos’è e perché si fa, ma non comprendo quale valore abbia. Un Angelo, mille Angeli , tutto il Cielo sanno questo e così pensano”.
“Gesù, balla con noi!” E’ il ritornello che risuona nella Messa festiva di una parrocchiale milanese. Dove sono andati a nascondersi certi cervelli sacerdotali? La Chiesa chiama alla Messa festiva sotto pena di peccato grave, impegnando a una serietà che i fedeli hanno il diritto di esigere per non sprecare il proprio tempo. Ma chi protesta?
E dove è andato a finire il richiamo alla santità in questo clima di vuoto buonismo, di ecumenismo che ritiene salvifica ogni religione, di comunitarismo spensierato…? Le vocazioni sacerdotali e religiose nascono dall’Eucaristia, ma quale?
La Chiesa è Gesù! E’ Gesù che l’ha amata come Sposa e per essa ha dato se stesso al fine di santificarla, purificandola col lavacro dell’Acqua e della Parola, per farsela comparire innanzi, questa Chiesa, risplendente di gloria, senza macchia né ruga o altro di simile, perché sia santa e irreprensibile” (Ef 5, 24s).
Ex Corde scisso Ecclesia, Cristo iugata, nascitur: lo abbiamo dimenticato?