La vita cristiana, secondo l’insegnamento dell’apostolo Paolo, è configurarsi con Cristo (Rm 8,29), è avere lo stesso sentire che è in Cristo Gesù (Fp 2, 5). L’insegnamento dell’Apostolo rispecchia il nucleo centrale dell’insegnamento di Gesù stesso espresso nelle occasioni più elevate del suo Vangelo, come nell’orazione sacerdotale e nel discorso sul Pane di Vita.
Nel discorso sull’Eucaristia Gesù insegna: “Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue rimane in me, e io in lui. Come il Padre, il Vivente, ha mandato me, e io vivo per il Padre, così pure chi mangia di me, vivrà per me” (Gv 6,56s).
Egli quindi definisce la nostra unione con Lui sulla base dell’unione insondabile che fa di Lui stesso uno con il Padre. Si ricordi anche il paragone dei tralci uniti alla vite (Gv 15, 1s).
Altrettanto fa nell’orazione sacerdotale, in cui prega il Padre: “Che tutti siano una cosa sola, come tu, o Padre, sei in me, e io in te…Siano uno come noi siamo uno: io in essi e tu in me, perché giungano a perfetta unità” (Gv 17, 21s). “Consacrali nella verità…Per loro io consacro me stesso, affinché essi pure siano consacrati nella verità” (Gv 17, 18). La consacrazione indica l’appartenenza piena, l’unione perfetta di Gesù con il Padre, e quindi anche tra noi e Gesù.
Questa consacrazione ci rende sacri non tanto per un’appartenenza materiale, ma per un’appartenenza spirituale data dalla conformità interiore con Gesù, per un sentire che è identificarsi interiormente al modo di sentire di Gesù, un pensare come pensa Lui, un giudicare, un amare, un gustare, un aspirare, un agire secondo il suo cuore. La nostra configurazione con Gesù è quindi un mistero di identificazione spirituale con Gesù che ci fa dire, con l’Apostolo: “Non sono più io che vivo, ma è Cristo che vive in me” (Gal 2, 20).
Identificati con Cristo nel compiere la volontà del Padre
Per Gesù il momento culminante della sua consacrazione al Padre avviene sulla Croce, capolavoro della Divina Sapienza (v. 1 Cor 1, 17s). E’ lassù, elevato da terra, che Gesù attrae tutto a Sé (Gv 12, 32).
Non bisogna mai dimenticare che l’umanità intera, per la quale Gesù si offre sulla croce, si trova in condizione redentiva, bisognosa di redenzione. Per questo Dio ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio Unigenito, perché chiunque crede in lui non perisca ma abbia la vita eterna (Gv 3, 16).
Tutta la vita di Gesù, come afferma Lui stesso, è in tensione verso questo mandato del Padre: “In un bagno devo essere immerso, e quanta ansia mi sento finché sia compiuto!” ( Lc 12, 50). Ed è proprio per questo che Gesù stesso, entrando nel mondo, dice: “Tu non hai voluto sacrifici e oblazioni, ma mi hai foggiato un corpo…; non hai gradito olocausti e vittime espiatorie. Allora ho detto: ‘Eccomi a fare il tuo volere’” (Eb 10, 5s).
Questi sentimenti del suo Cuore sono rivelati in un dialogo stupendo riportato da Santa Caterina da Siena. Gesù le dice:
“Figliola mia…, la pena del corpo fu finita, ma il santo desiderio non finisce mai. E non ti ricordi, figliola mia, che una volta, quando ti manifestai la mia natività, tu mi vedevi fanciullo parvolo nato con la croce al collo? Perch’Io ti fo sapere che, come Io, Parola Incarnata, fui seminato nel ventre di Maria, mi si cominciò la croce del desiderio ch’Io avevo di fare l’obbedienzia del Padre mio, d’adempiere la sua volontà nell’uomo, cioè che l’uomo fusse restituito a Grazia e ricevesse il fine per il quale fu creato. Questa croce m’era maggior pena che verun’altra pena ch’Io portassi mai corporalmente. E però lo spirito mio esultò con grandissima letizia quando mi vidi condotto all’ultimo, e specialmente nella Cena del giovedì santo. E però dissi: ‘Con desiderio ho desiderato di fare la Pasqua’, cioè di fare sacrificio del mio corpo al Padre. Grandissima letizia e consolazione avevo, perché vedevo apparecchiare il tempo disposto a tormi questa croce del desiderio, cioè che quanto più mi vidi giungere a flagelli e tormenti corporali, tanto più mi scemava la pena. Ché con la pena temporale si cacciava la pena del desiderio, perciocché vedevo adempito quello che desideravo” (Lettera 16).
E’ consacrandosi al Padre mediante questa identificazione profonda con la volontà del Padre che Gesù diventa causa di salvezza per il mondo: “Benché fosse Figlio, dai patimenti sofferti conobbe a prova la sottomissione, e reso perfetto divenne operatore di salvezza eterna a tutti i sottomessi a lui, proclamato da Dio sommo Sacerdote secondo Melchisedec” (Eb 5, 8s). E’ per questa obbedienza che siamo noi pure consacrati e resi perfetti.
Identificati con Gesù nel Sacrificio Eucaristico
Questo va ricordato a quella corrente di profanatori liturgici ostili al senso della Croce che vanno dissacrando il Sacrificio Eucaristico in spettacoli di stolta euforia conviviale. Il Sacrificio Eucaristico rimanda al Sacrificio della Croce per volontà di Cristo stesso, che, istituendolo nell’ultima cena, ha detto agli Apostoli: “Questo è il mio corpo…Questo è il sangue dell’Alleanza, che è sparso per molti in remissione dei peccati. Fate questo in memoria di me” (Mt 26, 26s e Parr.).
La nostra conformità con Cristo non può sussistere senza un riferimento a questo momento risolutivo della nostra salvezza: “Se uno non porta la sua croce, non può essere mio discepolo” (Lc 14, 27). Istituendo il Sacrificio Eucaristico come Albero della Vita piantato nel cuore della Chiesa sino alla fine dei tempi, Gesù intese unirci a Sé in questo atto salvifico centrale della vita cristiana. Non c’è unione più profonda dell’identificazione spirituale con Cristo crocifisso: “Con Cristo sono confitto in croce, e non sono più io che vivo, ma è Cristo che vive in me” (Gal 2, 19s). Questo è per Paolo “vivere nella fede del Figlio di Dio che mi ha amato e ha dato se stesso per me” (Gal 2, 20).
Pio XII ha rettamente individuato il modo di celebrare il Santo Sacrificio o di parteciparvi con questo alto insegnamento: “Gesù è vittima, ma per noi, sostituendosi all’uomo peccatore. Ora il detto dell’Apostolo:’Abbiate in voi lo stesso sentire che è in Cristo Gesù’, esige da tutti i cristiani di riprodurre in sé, per quanto è in potere dell’uomo, lo stesso stato d’animo che aveva il divin Redentore quando faceva il sacrificio di Sé, ossia l’umile sottomissione dello spirito, l’adorazione, l’onore, la lode e il ringraziamento alla somma Maestà di Dio.
Richiede inoltre di riprodurre in se stessi le condizioni della vittima, cioè l’abbandono di sé secondo i precetti del Vangelo, il volontario e spontaneo esercizio della penitenza, il dolore e l’espiazione dei propri peccati.
Esige, in una parola, la nostra mistica morte in croce con Cristo, in modo che possiamo dire: ‘Sono confitto in croce con Cristo’ ” (Enc. Mediator Dei).
Padre Pio, a chi gli ricordava le sue sofferenze nel celebrare il Sacrificio Eucaristico, rispondeva che nella Messa si trovava appeso con Cristo in Croce. Quanto sia lontana l’odierna prassi liturgica da questo modo di intendere lo sperimentiamo tutti i giorni nel decadimento di molte celebrazioni. Ma come può, un celebrante, immergersi in questo spirito di identificazione con Cristo mentre è rivolto verso un’assemblea, distratta da ben altre preoccupazioni, o peggio quando lui stesso a immettere nella celebrazioni elementi di dissipazione?
Identificati con il Sommo Sacerdote
Istituendo l’Eucaristia, Gesù ha inteso unire il suo Corpo Mistico ai suoi intenti di Redentore. Egli solo, essendo il Verbo del Padre e conoscendo Dio in modo perfetto, è l’unico in grado di rivolgere a Dio un culto perfetto. E’ Lui che dà senso e riempie la nostra offerta di sacerdoti e vittime. A noi uomini, anche con le disposizioni più felici, è dato partecipare alla sua adorazione in misura assai limitata. Identificarsi con Cristo nel momento della Consacrazione è unirsi nell’intimo alla sua mediazione di Sommo Sacerdote con i suoi stessi atteggiamenti divini di adorazione, ringraziamento, espiazione dei peccati e richiesta di grazie per noi e per l’umanità intera. E farci a nostra volta mediatori con Lui.
Per questo non c’è atto di culto più importante e più efficace del Sacrificio Eucaristico, in cui si incentra tutta la nostra religione di “veri adoratori che adorano Dio in Spirito e Verità” (Gv 4, 23).
Le voci di allarme per lo svuotamento liturgico in atto nella Chiesa, come avverte lo stesso card. Ratzinger, rendono indifferibile una riforma che ripari, con il dissolvimento del Sacrificio Eucaristico in irriverenti sceneggiate rituali, questa dissacrazione dell’atto su cui, per volontà di Cristo, si fonda e si alimenta la Chiesa, e riporti a serietà teologica la liturgia eucaristica.
Il Sacrificio Eucaristico è più che preghiera, più che ascolto, più che rito. La formazione degli stessi laici alla Santa Messa deve giungere a farne percepire il significato profondo di identificazione con Cristo, Sommo ed eterno Sacerdote, per la gloria di Dio e la salvezza del mondo. Anche l’osservanza del precetto festivo sarà facilitata dal capirne il significato: si va alla Messa per tutta la Chiesa, per l’intera umanità. Non c’è azione più urgente e più efficace di carità cristiana.
Avendo amato i suoi che erano nel mondo, Gesù li amò fino all’estremo (Gv 3, 1). L’Eucaristia è il vertice dell’amore di Cristo per noi, che compendia tutta la sua Incarnazione redentrice.
Dio, essendo onnipotente, non poté dare di più. Essendo sapientissimo non seppe dare di più. Essendo ricchissimo non ebbe da dare di più (S. Agostino). Nell’Eucaristia è racchiuso tutto il bene spirituale della Chiesa, Cristo Pane vivo che dà la Vita agli uomini (Vaticano II, PO 5).
Sulla terra non esiste ricchezza più preziosa di Gesù nell’Eucaristia, “Dio con noi”.
Facciamo quadrato intorno all’Eucaristia contro la congiura dei nuovi Giuda che mirano a eliminarla, distruggendo la Chiesa.
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