Tutti sappiamo che cosa significa centrare: è puntare bene la freccia verso il suo bersaglio. Incentrare il cuore è assumere tutte le forze del cuore per orientarlo verso il suo centro, il suo vero bene, il fine. Molte vite sono decentrate, orientate male, e a volte anche al male.
Gesù ci insegna: "Dov'è il vostro tesoro, ivi sarà anche il vostro cuore" (Lc 12, 34). Il cuore di ogni uomo gravita verso ciò che considera il suo bene, ciò per cui vive. Ognuno ha la sua opzione di fondo, ciò che ama più di tutto il resto, per cui rinuncia a tutto pur di non perderlo. Chi ha trovato la perla preziosa, vende tutto pur di conquistarla (v. Mt 13, 44s).
Sant'Agostino identifica questa opzione di fondo tra due contrapposti: "Ami la terra? Sei terra. Ami Dio? Che devo dire? Dico che sei Dio", il che acutamente significa: noi siamo ciò che amiamo, ciò verso cui gravitiamo più fortemente.
Occorre fare un'analisi acuta sulla nostra gravitazione di fondo. Alcuni vivono per il denaro, una madre per il proprio figlio, una sposa per il marito, altri si appassionano per il lavoro in modo che la stessa famiglia passa in secondo piano. Molti si appassionano per cose ignobili, peccaminose: rincorrono il denaro, oppure il piacere, il potere.
Sappiamo che tutto passa, e Dio solo resta. Astrattamente siamo convinti di dover vivere per Dio, ma di fatto il cuore gravita spesso verso ciò che non è Dio e si disperde in mille rigagnoli effimeri, mentre una cosa sola è necessaria, e Maria ha scelto la parte migliore, che non le sarà tolta (Lc 10, 41s).
Finché cadiamo in peccato, Dio non è il nostro vero centro, perché il peccato è utendis frui (S. Agostino), ossia usare ciò che è solo mezzo come se fosse il fine: amare altro che non è Dio, e in radice amare se stessi più che Dio. Il peccato è decentramento del cuore. Il vero dilemma è tra due competitori: o Dio o l'io. Si tratta di due opposti centri di gravitazione del cuore, nei quali si decide la nostra salvezza o dannazione.
Centrare il fine
Ora occorre precisare qual è il fine, lo scopo per cui siamo creati, il giusto approdo salvifico della nostra esistenza, fuori del quale siamo perduti: "Che giova infatti all'uomo guadagnare tutto il mondo, se poi perde la propria anima?" (Mt 16, 26). La Scrittura risponde: Ogni cosa Dio ha creato per se stesso (Prov 16, 4). Non essendoci altro bene stabile e a lui superiore, Dio non poteva crearci per un fine superiore a Lui stesso, e ci ha creati per sé: "Tutti quelli che portano il nome di miei, per la mia gloria ho creati, formati, compiuti" (Is 43, 7). Fine più alto Dio non poteva dare alla nostra esistenza.
Il fine, ciò per cui viviamo, per molti rimane un enigma: Montesquieu, gran teorico della rivoluzione, sentenziava beffardo: "Mangiare è uno dei quattro scopi della vita, ma quali siano gli altri tre non l'ho mai saputo". Senza salire a sì sublimi intelletti, chiediamo a un pescatore:
- Perché peschi?
- Per prendere pesci!
- E perché prendi pesci?
- Per mangiarli!
- E perché mangi?
- Per vivere!
- E perché vivi?...
L'ultima domanda rimane per i più molto imbarazzante e senza risposta. Eppure ci riguarda più di tutto il resto.
Questo fine rimane come nostra profonda esigenza, come dice S. Agostino: "O Dio, tu ci hai creati per te, e il nostro cuore è inquieto finché non riposa in te".
Bene ha centrato il suo cuore la santa giovane Luisa Margherita Claret de la Touche scrivendo nel suo diario: "Parla, o Signore! Voglio intraprendere tutto, fare tutto per contemplare la tua faccia, per godere la tua dolce pace. Voglio venire dritto verso di Te, Signore! Tutto ciò che mi impedirà il cammino, lo spezzerò! Se sono gli amici, li lascio; se sono i beni, li distribuisco; se è il cuore, lo strappo; se è il corpo, che sia distrutto. Resta, o Signore! Riempi bene la mia anima e il mio cuore: che nulla di estraneo, nulla di creato vi si possa intromettere". Che splendido incentramento del cuore!
E' l'anelito del Salmista, che effonde il suo cuore a Dio:
"Io son sempre con Te!
Tu mi tieni per la destra,
mi guiderai con il tuo consiglio
e mi accoglierai nella gloria.
Che c'è per me in cielo fuori che Tu?
Né sulla terra altro bramo.
Vien meno la mia carne e il mio cuore:
rocca del mio cuore e mia porzione è Dio per sempre...
Per me il bene è stare presso Dio
e riporre nel Signore Dio il mio rifugio,
per raccontare tutte le opere di Lui" (Sal 72, 23s).
"Amerai il Signore Dio tuo"
Per incentrare il nostro cuore in Lui, Dio ci ha dato il primo comandamento: "Amerai il Signore Dio tuo con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima, con tutte le tue forze, con tutta la tua mente" (Lc 10, 27). Il primo comandamento abbraccia tutto l'uomo per orientarlo a Dio come Primo Amore. Le esigenze di questo amore sono espresse da Gesù con parole che indicano la sua priorità su tutto il resto: "Chi ama il padre o la madre più di Me, non è degno di Me" (Mt 10, 37); "Chi non rinuncia a tutti i suoi averi non può essere mio discepolo" (Lc 14, 33). Se uno non rinuncia alla sua stessa vita non può essere mio discepolo" (v. Mc 8, 35, ecc.).
Il cuore deve gravitare verso Dio trascinando tutte le altre facoltà, tutto l'uomo. Non è tanto questione di sentimento, ma di volontà, perché ciò che conta davanti a Dio sono gli atti dell'anima, ma nei santi entrava in gioco anche il corpo con l'estasi e altri fatti, per cui spasimavano verso Dio, verso l'Eucaristia. Santa Caterina da Siena entrava spesso in estasi davanti all'Eucaristia, al punto di non accorgersi delle busse che le davano perché uscisse di chiesa dopo le celebrazioni. Gesù le spiegò che essa entrava in estasi perché la sua anima era più unita a Lui che al proprio corpo. Come Alexandrina da Costa e altri mistici, viveva di sola Eucaristia. Padre Pio avrebbe voluto rimanere continuamente all'altare nonostante le sofferenze che gli costava la celebrazione della Messa. Sant'Alfonso, san Filippo Neri, san Giuseppe da Copertino e altri santi soffrivano spasimi nel non poter comunicarsi. San Giovanni della Croce disse che la pena più forte durante la sua prigionia fu il non potersi comunicare. San Leonardo e Padre Pio dicevano che se gli uomini capissero che cos'è l'Eucaristia, occorrerebbe difendere il tabernacolo con inferriate o con i carabinieri.
Del resto il primo esemplare di questo amore è Cristo stesso, che visse nell'incessante tensione di compiere la volontà del Padre e fin dall'inizio dell'Incarnazione spasimava di offrirsi per noi, come disse egli stesso: "Fuoco sono venuto a gettare sulla terra, e quanto desidero che divampi! In un bagno devo essere immerso, e quanta ansia sento finché sia compiuto!" (Lc 12, 49)". E rivelò a santa Caterina da Siena: "Figlia mia, la pena del mio corpo fu finita, ma il santo desiderio non finisce mai. Io portai la croce del santo desiderio. E non ti ricordi, figliola mia, che una volta, quando ti manifestai la mia natività, tu mi vedevi fanciullo parvolo, nato con la croce al collo? Perch'io ti fo sapere come io, Parola Incarnata, quando fui seminata nel ventre di Maria, mi si cominciò la croce del desiderio ch'io avevo di fare l'obbedienzia del Padre mio, d'adempiere la sua volontà nell'uomo; cioè che l'uomo fusse restituito a grazia e ricevesse il fine pel quale egli fu creato. Questa m'era maggior pena che verun'altra ch'io portassi mai corporalmente. E perciò lo spirito mio esultò con grandissima letizia, quando mi vidi condotto all'ultimo, e specialmente nella cena del giovedì santo. E perciò io dissi: 'Con desiderio ho desiderato di fare la Pasqua', cioè di fare il sacrificio del mio corpo al Padre. Grandissima letizia e consolazione avevo, perché vedevo apparecchiare il tempo disposto a tormi questa croce del desiderio; cioè quanto più mi vidi giungere a flagelli e tormenti corporali, tanto più mi scemava la pena. Ché con la pena corporale si cacciava la pena del desiderio, perocché vedevo compiuto quello che desideravo" (Lettera 16).
Sono parole che ci rivelano fino a che punto Gesù è Amore! (1 Gv 4, 8).
Come gravitiamo verso l'Eucaristia, verso Gesù presente tra noi? Egli disse a una santa: "Io conto le ore e iminuti che mancano alla tua Comunione! Se non avessi istituito l'Eucaristia, la istituirei per te!". Gesù sa quanto vale Dio, e anche quanto vale un'anima dedita a Lui!
Amare è adorare
Come possiamo dimostrare l'amore verso Dio? Che cosa possiamo offrirgli? Se ogni bene viene da Lui, non possiamo offrirgli altro che riconoscere che tutto viene da Lui. Questo riconoscere si esprime anzitutto nell'adorare.
Gesù stesso ha dettato a santa Caterina da Siena il più radicale riconoscere nel celebre assioma: "Io sono Colui che E', tu sei colei che non è", ossia che non esiste se non in forza di Dio Creatore. E' un assioma da approfondire con tutto il cuore per assaporare la prima grande verità che ci riguarda. L'accettazione di questa verità primordiale ci colloca al nostro giusto posto, di esseri contingenti, che non hanno in sé la forza di essere e la ricevono ogni istante da Dio.
l. Si tratta di accettare Dio, innanzi tutto. L'ateismo è ribellione. Il famoso Clemenceau, detto La Tigre, ha voluto essere sepolto in piedi, in atteggiamento di contestazione di Dio: ora giace in piedi tra gli Immortali della massoneria, ma che gli giova? Ho conosciuto un giovane, molto dotato, ma affetto da fragilità nervosa: si ribellava a Dio per questa debilitazione e ha preso una piega molto triste.
Accettare Dio può divenire anche un atto eroico, quando si è colpiti da grandi mali, ma Giobbe disse:
"Nudo uscii dal grembo di mia madre, e nudo vi tornerò:
il Signore ha dato, il Signore ha tolto:
sia benedetto il nome del Signore" (Gb 1, 21).
L'accettazione profonda di Dio, del suo Essere trascendente, ci pone tra gli adoratori che adorano Dio in Spirito e Verità. E' la base di tutta la costruzione spirituale: è l'umiltà. Sant'Agostino radicalizza due opposte posizioni di fronte a Dio: "Amor Dei usque ad contemptum sui, amor sui usque ad contemptum Dei: L'amore di Dio giunge fino al disprezzo di sé, l'amore di sé giunge fino al disprezzo di Dio".
Si tratta anche di accettare se stessi, con i propri limiti: non possiamo vantare alcuna pretesa di fronte all'Altissimo. Dio non è tenuto con nessuno, tutto è dono, tutto è grazia. La pietra ringrazia di essere pietra, il fiore di essere fiore. Altri ha più di me: Dio sia benedetto!
2. Il riconoscere diventa quindi anche riconoscenza, gratitudine, Eucharistia. Il ringraziamento è una faccia dell'adorazione. La Chiesa invita a rendere grazie a Dio per la sua stessa gloria immensa, per avercela rivelata. Quindi per il dono dell'intelligenza, che è un riflesso della sua gloria. Poi per tutte le grazie che Dio ci dona. L'Apostolo rimprovera gli increduli perché conoscendo Dio (mediante la creazione) non lo hanno onorato come Dio, né gli hanno reso grazie (Rm 1,21). E Gesù stesso si è lamentato dell'ingratitudine dei lebbrosi guariti: "Non sono stati guariti dieci? E gli altri nove dove sono? Non si è trovato chi tornasse per dar gloria a Dio se non questo straniero?" (Lc 17, 11).
Dobbiamo quindi ringraziare Dio per tutti i suoi doni, come invita la Chiesa: "Vi adoro, mio Dio, Vi amo con tutto il cuore, Vi ringrazio di avermi creato, fatto cristiano...". E' grazia immensa accorgerci di tutte le finezze di Dio per noi: il modo migliore di ottenere grazie è rendersi conto della sua generosità. Se lo trattiamo da Gran Signore, Dio si mostra Gran Signore con finezze commoventi.
3. Nell'adorazione è implicita l'espiazione, la riparazione delle offese fatte a Dio. Il gesto supremo di riparazione è la passione e morte di Gesù in croce, con cui Gesù si sottomette al Padre in obbedienza perfetta per riparare le disobbedienze degli uomini: Egli si è addossato i nostri malanni e si è caricato i nostri dolori..., fu trafitto per i nostri misfatti, calpestato per le nostre colpe; la punizione per noi salvifica fu inflitta a lui, e le sue piaghe ci hanno guariti (Is 53, 4s).
La Redenzione è avvenuta mediante l'intera sottomissione di Gesù al Padre per restituirgli l'adorazione che gli è dovuta: Benché fosse il Figlio, dai patimenti sofferti conobbe a prova la sottomissione, e reso perfetto divenne autore di salvezza eterna per tutti i sottomessi a Lui (Eb 5, 8s).
Il peccato, l'offesa a Dio pagata a sì caro prezzo, non è cosa da poco: il senso dell'adorazione è congiunto con la percezione acuta della gravità del peccato e con l'impegno di purificazione del cuore.
4. Anche la preghiera di richiesta e l'implorazione sono espressioni dell'adorazione: sono un riconoscimento implicito della nostra dipendenza da Dio per ogni bene, del suo dominio sul creato, della sua munificenza e signorilità. Dio ama chi gli chiede cose grandi, chi onora la sua indole di Gran Signore della Vita (Archegos tes Zoes), chi non presume di sé e tutto attende da Dio con fiducia illimitata: "Senza di me non potete far nulla" (Gv 15, 5).